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La Rivoluzione dei giornalisti e Napoleone censore

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Di Cesare Cavalleri fonte@avvenire.it

È ben noto che la Rivoluzione francese è stata preparata e accompagnata da massicce campagne di stampa, tanto che qualcuno, con qualche esagerazione, l’ha denominata «la Rivoluzione dei giornalisti». Lo scontento popolare per la condizione della Francia a fine Settecento, infatti, coagulò in nuovo soggetto, «l’opinione pubblica», interpretata e anche manipolata dai giornalisti. L’articolo 11 della «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino» (26 agosto 1789) è al contempo culmine di un processo e inizio di una nuova fase: «La libera manifestazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge». La formulazione è solenne e ambigua, perché in coda contiene anche il germe di un’eventuale censura. Napoleone fu abilissimo nell’usufruire delle potenzialità dell’art. 11, sia utilizzando i giornali per alimentare la propria fama, sia esercitando il pugno di ferro della censura.A questo aspetto, non studiatissimo, della personalità dell’Imperatore è dedicato il breve saggio del giornalista pugliese Rocco Tancredi, Napoleone giornalista. Lungimirante ma interessato (Fausto Lupetti, pp. 88, euro 12). Fin dalle campagne d’Italia e d’Egitto, Napoleone preparò e strombazzò le sue imprese con la complicità dei giornali, non esitando a fondarne di nuovi. Era attentissimo alla rassegna stampa, anche sui campi di battaglia, e, scrive Tancredi, perfino «mentre fa il bagno – vi restava molto tempo – si fa leggere i giornali dal fedele Bourienne che, per il vapore, spesso non riusciva a vedere il testo».A Parigi, prima del colpo di Stato, si pubblicavano settanta giornali. L’impero napoleonico ne conoscerà soltanto quattro. Napoleone fondò il Moniteur, che era simultaneamente Gazzetta ufficiale e megafono propagandista. Già, perché Napoleone usò i giornali più come Goebbels che non come Émile Zola, e fin dal 1804 diede ai direttori dei giornali questa consegna: «Le informazioni devono essere prese esclusivamente dal Moniteur. Ogni notizia spiacevole o sfavorevole per la Francia, i giornali la devono mettere in quarantena perché devono sospettare che sia stata dettata dagli inglesi. In generale i giornali devono parlare solo di eventi lieti per il governo».Il libretto di Tancredi, che non ha una struttura rigorosamente organica, è interessante soprattutto per i testi napoleonici riprodotti in originale e in traduzione, anche se non sempre la resa in italiano è brillante. Per esempio, quando Luigi XVIII, il velleitario restauratore, fondò nel 1808 un suo giornale chiamandolo Moniteur universel, Napoleone lo ammonì: «Rien n’est mauvais comme votre singerie du Moniteur de France». Tancredi traduce: «Non c’è niente di malvagio come la vostra maldestra imitazione del Moniteur de France»; più speditamente e alla lettera si poteva rendere: «Non c’è niente di peggio della vostra scimmiottatura del Moniteur de France». Comunque, Luigi XVIII abbozzò, e cambiò la sua testata in Journal universel.Anche Napoleone talvolta abbozzò, come quando diede ragione a Charles G. Etienne che non pubblicò sul Journal de l’Empire un suo violento articolo contro suo suocero, l’Imperatore d’Austria Francesco I, padre di Maria Luisa che non seguirà Napoleone nella sventura e, dal 1814, diventerà Duchessa di Parma fino alla morte, nel 1847. Napoleone giornalista è ricco di aneddoti e di curiosità, e può indurre il lettore a intraprendere ulteriori ricerche bibliografiche. Dimenticabile la prefazione di Giovanni Valentini.