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La disputa sul nome della Macedonia sta per essere risolta con un referendum

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Il 30 settembre quella che tutti conosciamo come Macedonia, che in realtà sarebbe più esatto chiamare Repubblica di Macedonia, ma che alle Nazioni Unite viene chiamata FYROM, ovvero Former Yugoslav Republic of Macedonia, in italiano Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, andrà alle urne per decidere come chiamarsi definitivamente. Si, perché da quando il paese è entrato a far parte, nel 1993, dell’ONU, la Grecia ha avviato una disputa sul nome che parrebbe essere finalmente sul punto di risolversi.

L’Alessandro conteso

Proprio a seguito di un accordo con la Grecia, i cittadini sono stati chiamati a confermare il cambio del nome ufficiale in “Macedonia del Nord”. Atene in tutti questi anni infatti ha sempre rivendicato la propria Macedonia, regione settentrionale del paese, come l’originale, l’unica ad avere il diritto di chiamarsi semplicemente Macedonia, arrivando perfino ad opporsi all’ingresso dei confinanti nella NATO e nell’Unione Europea finché il nome non verrà definitivamente cambiato; accusando Skopje di nutrire addirittura ambizioni territoriali.

Come scrive Channel News Asia “L'animosità si accentuò quando l'ex premier macedone Nikola Gruevski fece un giro di costruzioni nella capitale Skopje, erigendo imponenti statue di Alessandro Magno – un eroe che entrambi i paesi rivendicano come proprio – e intonacando edifici governativi in ​​facciate di ispirazione ellenica. Atene, fieramente orgogliosa della sua storia antica, fece saltare le mosse come appropriazione culturale. Ma la caduta di Gruevski e l'arrivo nella primavera scorsa di un nuovo governo guidato dai socialdemocratici della Macedonia, hanno permesso un'apertura”.

La Russia assiste impensierita

Un’apertura che se da un lato calma le acque per ciò che riguarda un conflitto culturale che può apparire anacronistico, dall’altro crea tensioni internazionali abbastanza inaspettate. Si perché proprio questo clima di rinnovata pace potrebbe disturbare labili equilibri di politica internazionale, in questo caso i rapporti tra Grecia e Russia.

L’accordo con la Macedonia infatti spalancherebbe a quest’ultima le porte della Nato, cosa che dalle parti del Cremlino non è vista affatto di buon occhio. Per Putin l’ingresso della Macedonia nell’Alleanza atlantica significherebbe veder fare a quest’ultima un ulteriore passo in direzione Est, vedendo cadere un’altra tessera del proprio mosaico politico.

Il tweet di Pence

Timori che hanno un fondamento? Nessuno può darlo per certo ma l’interesse di Stati Uniti, Nato e Unione Europea su questo accordo sul nome della Macedonia è sempre stato sospettosamente prioritario.

Lo stesso vicepresidente USA Mike Pence a luglio aveva chiamato sia Tsipras che Zaev per garantire il pieno supporto degli Stati Uniti alla felice riuscita dell’accordo, commentando la vicenda anche pubblicamente su Twitter “L’implementazione dell’accordo aprirà le porte all’integrazione europea e rafforzerà la prosperità e la stabilità della regione”.

Accuse di interferenze

Ma Putin, si sa, non è tipo che resta semplicemente a guardare. È stato lo stesso segretario alla Difesa americano James Mattis a dichiarare, durante la visita della scorsa settimana a Skopje, che i russi “senza dubbio hanno trasferito denaro e stanno anche conducendo una campagna di influenza più ampia”.

Il Premier Zaev ha risposto minimizzando le accuse: "Non abbiamo prove dell'influenza russa", ma sono in tanti a pensarla così anche dall’altra parte, in Grecia, dove parecchi quotidiani, specie quelli conservatori come Kathimerini, parlano di una chiara interferenza di Mosca per evitare che i due Paesi giungano a una soluzione della diatriba sul nome.

La guerra dei diplomatici ….

Da lì sarebbe nata in realtà l’esigenza da parte della Grecia di espellere a luglio due diplomatici russi accusati ufficialmente d’ingerenza indebita negli affari interni e azioni illegali contro la sicurezza nazionale del paese. A conferma di ciò le affermazioni a Bloomberg di Costas Douzinas, membro di Syriza e capo della commissione Esteri, secondo le quali la Grecia è “pienamente determinata” a ratificare l’accordo con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia per cambiare il nome e riconoscerla; ma c’è di più, il politico greco ha affermato che “se i russi continuano a tentare di far deragliare l’intesa, la reazione sarà forte”.

Rincara la dose il vice presidente Panos Sgouridis, segretario di Anel, partito di destra considerato filo-russo e contrario alla ratifica del patto fra Atene e Skopje, che comunque ammette di avere in suo possesso “informazioni di prima mano sull’interferenza russa in materia greca” aggiungendo quanto sia “fondamentale che sia protetta la sovranità della Grecia”.

…. quella dei monaci …

Come scritto anche dal Sole24Ore, l’emittente greca Ert1 accusò addirittura il Cremlino di volere interferire nelle trattative fra Grecia e Macedonia sfruttando la comunità monastica del Monte Athos. Il forte sentimento patriottico dei monaci, unito ad alcuni politici locali, serviva per scuotere la popolazione del nord del Paese a minare la possibilità dell’accordo.

Accuse che rimbalzano anche sul fronte macedone dove il governo ha accusato la Russia di utilizzare alcuni oligarchi per finanziare campagne contro l’accordo.

… e quella sui social

Nel frattempo la battaglia sul referendum passa anche, chiaramente, dai social. L'Investigative Reporting Lab della Macedonia negli ultimi giorni ha intercettato migliaia di falsi account Facebook e Twitter creati ad hoc per diffondere l’hashtag #Bojkotiram (“boicottiamo”). Una notizia che non stupisce, considerato che la Macedonia era stata ritenuta uno dei centri di provenienza delle bufale accusate di aver influenzato le presidenziali elezioni americane del 2016.

Vertici divisi

Sulla questione è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Gjorge Ivanov che, come riporta il Telegraph, ha invitato il popolo macedone a non recarsi alle urne, considerando il referendum come un “cappio” e una “flagrante violazione della sovranità”. Il premier Zaev invece si augura vivamente che il referendum passi perché al contrario il paese si ritroverebbe isolato e potrebbe riaprirsi quello che lo stesso Zaev ha descritto come un “capitolo di insicurezza e instabilità nell'intera regione”. Concorda con il premier macedone anche James Ker-Lindsay, un esperto dei Balcani presso la London School of Economics: “Sarebbe solo una vera battuta d'arresto, su tutti i livelli”.

Anche la componente albanese è d’accordo

Il Sì in questo momento parrebbe essere in vantaggio con un 57% ma sono tanti e vari i tentativi di suscitare attriti tra la maggioranza slava alla quale non va giù di dover cambiare il nome del proprio paese per andare incontro ai cugini greci, e la minoranza albanese che vede nel futuro ingresso nell’Unione Europea la possibilità di risolvere povertà e discriminazioni nei loro confronti presenti nei loro confronti all’interno del paese.

Vedi: La disputa sul nome della Macedonia sta per essere risolta con un referendum
Fonte: estero agi


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