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Junko Tabei: la prima donna ad aver scalato l’Everest

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Il 16 maggio 1975 la giapponese Junko Tabei fu la prima donna a scalare l’Everest. E negli anni successivi fu anche la prima a raggiungere le cime delle “Seven Summits”. Per tutta la vita sfidò i pregiudizi e il maschilismo entrando nella leggenda. Ecco la sua storia straordinaria.

CHI ERA JUNKO TABEI

Junko Tabei (il suo cognome da nubile era Ishibashi) nacque il 22 settembre 1939 a Miharu nella provincia di Fukushima, in una zona agricola che pativa le conseguenze (anche economiche) che si erano abbattute sul Giappone al termine della Seconda guerra mondiale.
Junko era la quinta di sette figli. La sua famiglia era molto modesta e il papà lavorava come tipografo. Il suo amore per la montagna lo si fa risalire a quando, a dieci anni, andò in gita scolastica sul Monte Nasu, nel parco nazionale di Nikko. Peccato che la sua famiglia non fosse propensa ad assecondare la sua passione: Junko era di corporatura fragile e delicata e, inoltre, l’alpinismo era considerato un’attività costosa e adatta agli uomini.

LA SFIDA ALLE TRADIZIONI E AL MASCHILISMO

Durante le scuole superiori ebbe quindi poche occasioni per esplorare le vette del suo Paese. Ma tutto iniziò a cambiare quando si trasferì a Tokyo per frequentare i corsi di letteratura inglese alla Showa Women’s University. Già la scelta di studiare per diventare insegnante la allontanava dalla mentalità che voleva le donne giapponesi dedite alla cura della casa e della famiglia. Poi a Tokyo Tabei iniziò a anche a lavorare come correttrice di bozze per una rivista scientifica e a dare lezioni di inglese per finanziare le sue spedizioni in montagna. Nello stesso periodo frequentò anche dei club studenteschi di appassionati di alpinismo e durante una scalata al Monte Tanigawa conobbe anche il marito Masanobu Tabei (dal quale prese il cognome) con cui ebbe due figli, una femmina e un maschio, Noriko e Shinya. Lo stesso Masanobu Tabei era una figura ben nota tra gli scalatori giapponesi. Egli comprese a fondo la passione della moglie, non la ostacolò e si prese cura dei bambini per permetterle di partire per le sue spedizioni in montagna a inseguire i suoi sogni.
Così, nonostante si scontrasse continuamente con il sessismo e le discriminazioni dell’ambiente e dell’epoca, negli anni Sessanta Junko riuscì a scalare le vette più alte del Giappone, compreso il Monte Fuji, e delle Alpi.

IL “LADIES CLIMBING CLUB” (LCC), UN CLUB DI ALPINISMO PER DONNE

Nel 1969 Junko Tabei fondò il club di alpinismo Joshi-Tohan per sole donne. noto anche come il “Ladies Climbing Club” (LCC). Lo slogan era “Andiamo a fare una spedizione all’estero, da sole”. Insieme alle compagne del LCC scalò montagne in oltre 70 Paesi del mondo. Nel 1970 organizzarono la prima spedizione tutta al femminile sull’Himalaya e lei diventò la prima donna a salire in cima all’Annapurna III (7555 m).

LA SCALATA DELL’EVEREST

Una volta scalata l’Annapurna III, Junko Tabei e le sue compagne decisero di puntare al “tetto del mondo”, l’Everest.
Chiesero un permesso al governo nepalese, ma siccome questo ne concedeva solo in numero limitato e uno a stagione, lo ottennero solo nella primavera del 1975. Tabei e le altre scalatrici del LCC (che erano per lo più insegnanti, madri, lavoratrici) si sentirono spesso ripetere che l’Everest non era posto per donne e che avrebbero fatto meglio a rimanere a casa ad accudire i figli. Inoltre incontrarono molte difficoltà nel raccogliere i fondi necessari alla spedizione. Pare anche che Junko abbia dovuto assemblare dei capi della sua attrezzatura con la sua macchina da cucire. Alla fine la Nippon Television e il quotidiano Yomiuri Shimbun accettarono di finanziare il progetto.
Nel maggio 1975 il gruppo di scalatrici guidato da Eiko Hisano raggiunse Katmandu salendo per la via seguita dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa nepalese Tenzing Norgay, che nel 1953 furono i primi a raggiungere il punto più alto sulla Terra.
Il 4 maggio una valanga seppellì il campo base dove si trovavano, a quota 6300 m. Non ci furono vittime, ma la scalatrice giapponese rimase priva di sensi per un po’ e dovette fermarsi qualche giorno. Dopo essersi ripresa il 16 maggio 1975 Junko Tabei, accompagnata dalla sua guida sherpa Ang Tsering, raggiunse finalmente la vetta dell’Everest. Fu la prima donna nella storia a compiere una simile impresa e la sua notorietà valicò i confini del Giappone. Aveva solo 35 anni.

ALTRE IMPRESE

Junko Tabei scalò anche altre cime himalayane: il Manaslu (8163 m), lo Shisha Pangma (8027 m) e il Cho Oyu (8201 m).
Nel 1992 raggiunse un altro primato divenendo la prima donna a essere arrivata in cima alle “Seven Summits” le montagne più alte di ciascuno dei sette continenti (Asia, Africa, Nordamerica, Sudamerica, Europa, Oceania e Antartide, secondo l’interpretazione anglosassone). Dopo l’Everest che con i suoi 8848,86 metri è la montagna più alta del mondo, Tabei toccò le cime di Kilimangiaro (5895 m) in Tanzania nel 1980, dell’Aconcagua (6961 m) in Argentina nel 1987, del Denali (6190 m) in Alaska nel 1988, dell’Elbrus (5642 ) in Russia nel 1989, del Vinson (4892) in Antartide nel 1991) e del Puncak Jaya (4884 m) in Indonesia 1992.
Inoltre, ogni anno, Junko Tabei scalava il Monte Fuji. Nel 2016 poco, prima di morire, aveva anche organizzato alcune gite insieme a gruppi di giovani e studenti provenienti dall’area del disastro di Fukushima.

L’IMPEGNO AMBIENTALISTA E LA MORTE

Junko Tabei fu anche in prima linea nella campagna di sensibilizzazione contro l’abbandono dei rifiuti e del degrado durante le spedizioni in montagna.
Nel 2000 seguì un corso post laurea all’Università Kyushu a Fukuoka proprio incentrato sull’impatto dei rifiuti umani sull’Everest. Oltre a partecipare a diverse attività di pulizia e bonifica sui monti del Giappone e dell’Himalaya, divenne anche direttrice dell’Himalayan Trust of Japan che progettò un inceneritore per l’eliminazione degli scarti degli scalatori.
Nel 2012 a Junko Tabei fu diagnosticato un cancro allo stomaco, ma fino al 2015 partecipò attivamente a spedizioni in montagna. Morì il 20 ottobre 2016.

 

Fonte: Al femminile