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«Ismaele ha perso la mamma ma adesso è a casa con noi Anche suo padre è d’accordo»

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Palermo, la dottoressa che ha in affido il bimbo dopo il naufragio

Di Felice Cavallaro

Mio marito e mio figlio sono stati subito contenti E così i miei genitori, che ora sono di nuovo nonni C’era una dolcezza grande nelle parole del suo papà: ha capito che vogliamo entrambi solo il bene del piccolo La decisione Alessandra Teresi, 51 anni, medico: per la mia famiglia è stata una scelta naturale
Sorride allegro Ismaele, con i suoi occhi grandi e neri. Senza sapere che la mamma non c’è più, che il padre è rimasto bloccato in Tunisia, che la sua odissea, dopo il naufragio fra le onde cattive del Mediterraneo, è già approdata in un confortevole appartamento di Palermo. Un fagottino di 5 mesi al centro di una favola commovente.
Coccolato dalla dottoressa che l’ha preso in affidamento temporaneo con sé a Lampedusa, inzuppato, gelido e spaventato. E lei, Alessandra Teresi, 51 anni, anestesista del 118 sempre in volo per l’elisoccorso in Sicilia, è felice d’essere planata nel salotto di casa, un divano tutto per lui, «il principino», come lo chiama preparando un biberon di latte e un vasetto di frutta frullata.
Un amore a prima vista, nel pronto soccorso di Lampedusa dove lei, con un funzionario della prefettura di Agrigento e con la direttrice dell’hot spot, ha capito che il piccolo non poteva finire da solo nell’inferno di un centro accoglienza con duemila disperati: «Ce lo chiedevamo tutti. Ma che fine fa questo bambino? E mi sono offerta. Chiamando da lì mio marito Liborio e mio figlio di 14 anni».
Subito disponibili anche loro?
«Da psicomotricista che si occupa di bimbi disabili, mio marito è stato immediato: “Portalo subito a casa”. E Antonio: “Mamma, può dormire con me, nella mia cameretta”. Ed eccoci in questa bella domenica cominciata all’alba con il primo volo per Palermo».
Marito e figlio all’arrivo in aeroporto?
«Ovviamente. Famigliola allargata. Mio figlio Antonio era emozionatissimo quando mi ha vista con Ismaele incappucciato e con i suoi riccioli neri».
Adesso?
«Il nostro bimbo è stupendo, mangia, dorme, ci rende felici. Comincia una nuova vita per lui e per noi. Anche per i miei genitori, di nuovo nonni. Per i nostri amici che portano culla, giochi, abitini».
Come siete riusciti ad ottenere i permessi in un giorno?
«Un miracolo. Grazie alla prefettura, al tribunale dei minori, ma anche grazie al papà di Ismaele. Un uomo addolorato, dispiaciuto, provato. Rintracciato per telefono a Tunisi dove è bloccato».
Cos’è accaduto?
«Al momento di partire per questo disperato viaggio della speranza gli hanno impedito di salire sul barchino poi travolto dalle onde. E lui ha lasciato andare la moglie senza immaginare di non poterla mai più rivedere. Il distacco come prezzo da pagare. Pensando al futuro del piccolo Ismaele, evidentemente. Poi, la tragedia…».
Un giorno questo padre potrà arrivare qui per riprenderlo.
«È possibile. C’è una dolcezza grande nelle sue parole. Abbiamo parlato attraverso i mediatori e abbiamo capito che vogliamo entrambi una sola cosa, il bene del bambino. Ecco perché per noi qui a Palermo è il principino. Sperando di essere noi tutti all’altezza. Come dovremmo potere fare con tutti i bimbi, come si capisce davanti alle tragedie del Mediterraneo».
Pensa alla bimba di quattro anni scomparsa fra le onde, come dicono le ultime notizie?
«Penso a lei, a una miriade di bimbi che vediamo approdare con sbarchi continui. Ed è per questo che anche noi in servizio sugli elicotteri ci affianchiamo ai colleghi del Poliambulatorio, al direttore Francesco D’Arca, per prestare soccorso. Come per fortuna ho fatto l’altra notte quando mi sono ritrovata davanti a questa briciola».
Si prodigavano tutti, dai poliziotti agli infermieri…
«È così. Ma occorreva trovare almeno temporaneamente una vera casa per Ismaele. Non una brandina all’hot spot. Ed è quello che siamo riusciti a fare. Con una scelta naturale, scontata. Anche se, a leggere centinaia di messaggi sul mio cellulare, sembra che abbia combinato chissà quale impresa. No, non si poteva fare altro. E bisognava farlo con il cuore».

Fonte: Corriere