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«IO DICO: IL PD È IRRIFORMABILE UNICA CHANCE LO SCIOGLIMENTO»

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«Il problema non è tornare nelle periferie, ma perché non c’è più. Ora serve un atto di coraggio per aprirsi e avviare una fase costituente. Il vecchio gruppo dirigente esca di scena»
Umberto De Giovannangeli

Penso che il Pd sia irriformabile. Diversamente da quel che sostiene Bersani, io dico che il problema è proprio l’autoscioglimento. Il problema è rimuovere ciò che impedisce la rinascita. E ciò che impedisce la rinascita è proprio questo tipo di organizzazione politica di ciò che continua a chiamarsi Sinistra. Decidendo l’autoscioglimento si avrebbe la forza di chiedere a tutti la stessa cosa, per aprire una fase costituente con nuovi canoni, nuove forme di democrazia e di partecipazione. La classe dirigente di oggi si deve fare da parte.
Puoi pensarla come vuoi, ma ascoltare Fausto Bertinotti è sempre uno stimolo politico e intellettuale. Per la storia di cui è stato tra i protagonisti e per la passione intelligentemente “provocatoria” che lo accompagna ancora.
“Il Pd rappresenta la parte progressista della mentalità borghese, il suo consenso è quello dei ceti medi riflessivi: consenso da conservare, ma alla sua sinistra va organizzata una grande e credibile forza popolare. Sia chiaro però: non è roba da grillismo”. Così Mario Tronti in una intervista a questo giornale. Lei come la vede?
Come sempre Mario dice delle cose intelligenti e acute. Però questa volta non mi convincono analiticamente. Perché dà una rappresentazione del Pd unicamente riferita alle classi e ai ceti sociali. È vero che elettoralmente rappresenta in larga misura i ceti medi. E che questi ceti medi, posso persino concedere, siano quelli che vengono chiamati “riflessivi”. Ma questa costruzione trascura due elementi che invece sono secondo me fondamentali…
Vale a dire?
Uno, quello propriamente politico. La dico così: tu da che parte stai nella gestione della cosa pubblica, cioè come affronti la questione del Governo. E due, ancor di più, sul terreno della elaborazione teorico-pratica: tu chi sei? Qual è la tua soggettività organizzata. Se tu guardi a questi due elementi, allora quello che viene alla luce è che in realtà il Pd ha questa rappresentanza non perché si è distratto dalla necessità di rappresentare i ceti popolari e le classi subalterne, ma perché attraverso il primato della governabilità, che ha assunto acriticamente, si è fatto parte di una gestione dell’economia e del pubblico che è sostanzialmente funzionale alla grande ristrutturazione capitalistica. Il suo fare non è leggero e neutrale ma è invece parte dell’Europa reale, cioè di questa Europa oligarchica e sostanzialmente liberale, e contemporaneamente, sempre nel Governo, ha realizzato, praticato, delle politiche senza caratterizzazione di giustizia sociale. La seconda questione è ideologico-politica. In realtà il Pd è diventato culturalmente un partito liberale. La sua costituzione ha configurato un passaggio di campo. Dal campo delle classi subalterne, della classe operaia, dei ceti popolari, cioè della tradizionale base sociale della Sinistra e in particolare dei partiti del movimento operaio, è trasmigrato sul fronte delle forze motrici, culturalmente, di questa gigantesca ristrutturazione capitalistica. Fino al punto da aderire alla politica della guerra, che, scatenata dalla Russia di Putin, ha avuto come reazione non un impianto pacifista bensì invece una politica di adesione al conflitto. Il Pd è arrivato sino a votare tutto l’invio delle armi e ad appoggiare una politica neo atlantica come, si può dire, non è mai stata così passivamente sostenuta in tutta la storia del dopoguerra. È questo che ne determina l’irriformabilità.
Nel dibattito, molto partecipato, alla Direzione del Partito democratico, la parola che più è riecheggiata, pressoché in tutti gli interventi, è stata “identità”.
Siamo alla ricerca del mondo perduto. Soltanto che per poter compiere questa ricerca di una identità perduta, bisognerebbe indicare quanto meno qual è l’orizzonte e il campo della ricerca. Insomma, devi dire se stai cercando in direzione del socialismo oppure di una razionalizzazione capitalistica. Se stai lavorando in direzione, come avrebbe detto Gallino, di un rovesciamento del rovesciamento del conflitto di classe intervenuto negli ultimi venticinque anni oppure se pensi che bisogna lavorare a contribuire alla razionalizzazione di un sistema irrazionale. La direzione di marcia va indicata.
Qualcuno ci ha provato, fuori e dentro il Pd. Non la convincono?
Tutte le formule che sono state usate in questa stagione sono franate miseramente perché non significano nulla. “Dobbiamo tornare nei territori”. Poi la versione un po’ più qualificata: “dobbiamo tornare nelle periferie”. Tu dovresti chiederti e chiedere perché sei stato espulso dai territori e dalle periferie e non
“ci torniamo”. Se non capisci perché sei stato espulso da quella realtà, non puoi capire di ritornarci e in ogni caso quello che è drammatico è che non ti chiedi perché non ci stai in quella realtà. Non perché non ci vai ma perché non ci stai. Un’altra formula molto usata che francamente un po’ muove una indignazione intellettuale, è quella di dire: “sono aumentate le diseguaglianze”. E quindi…Quindi che cosa? Quando è cominciata questa storia, per citare ancora Gallino, del rovesciamento del rovesciamento del conflitto di classe? Chi ha fatto il Job Act? Perché mentre le diseguaglianze aumentavano tu non ti sei opposto a questa tendenza? Mentre i salari italiani si riducevano, in Germania e in Francia aumentavano oltre il 30%. Questo perché il Pd ha dismesso il bagaglio critico dell’ordine delle cose esistenti. È stato nel governo Draghi senza colpo ferire né sul terreno economico né sul terreno sociale né sul terreno del grande scontro tra pace e guerra.
Quando è andato al Governo con Monti, il Pd si era intestato politicamente “l’Agenda Monti”, e lo stesso, sia pure con toni e protagonisti diversi, è accaduto con il governo Draghi e “l’Agenda” a lui riferita.
La malattia del Pd è l’aver fatto della governabilità la sua Weltanschauung. E qui non è avvenuta finora né l’autocritica, ma neanche la rottura. Neanche l’apertura di un fronte critico su questo punto. Il Pd è stato il custode più ortodosso dei governi a guida politico-tecnica, più organici alla ristrutturazione capitalistica o, se la si vuole metterla diversamente, al governo dell’attuale fase di crisi economico-sociale. Alla crisi del ’29, quel signore che si chiamava Roosevelt oppone alle politiche ortodosse il New deal, un nuovo modo di governare. Qui invece alla crisi si è opposto la conferma del modo di governare che ha visto le classi dirigenti imporsi in maniera scandalosa sulle classi popolari.
“Basta primarie. Il dilemma non è sciogliere o non sciogliere, è allargare, è l’esigenza di un profilo, di un collegamento con il tema del lavoro, di una forma partito adeguata. Io lo chiamo un partito nuovo”. Così Pier Luigi Bersani in una intervista al Corriere della Sera.
Penso, per le ragioni che abbiamo detto, che il Pd sia irriformabile. Diversamente da quel che sostiene Bersani, io dico che il problema è proprio l’autoscioglimento. Il problema è rimuovere ciò che impedisce la rinascita. E ciò che impedisce la rinascita è proprio questo tipo di organizzazione politica di ciò che continua a chiamarsi Sinistra. Bersani ha ragione a dire “nuovo”. Ha ragione perché la grande storia del movimento operaio italiano nel dopoguerra finisce con lo scioglimento del Partito comunista. La storia successiva di coloro che ne hanno ereditato, peraltro rifiutando questa eredità, la storia, è che hanno fallito. La prima storia è finita e la seconda è fallita. Continuare a fare quello che si è fatto fin qui, qualche annuncio, tanti rappezzamenti, mantenimento della rotta sostanzialmente, sempre quella, porta a questa sconfitta che, bisogna prenderne atto, è definitiva. Io non capisco come non lo si veda. Fai la somma della mancanza di identità, sradicamento dai ceti popolari, inidoneità a organizzare, rappresentare ed essere parte dei conflitti sociali, assenza totale di qualunque linea di politica economica e sociale alternativa all’ordine delle cose esistenti. Qui sei arrivato. Quello che resta in piedi è una istanza burocratica di organizzazione, anche se è piena di brave persone. Penso che sarebbe una prova di generosità e d’intelligenza l’autoscioglimento.
Non si rischia di buttare anche le cose buone?
No, perché libererebbe delle energie che ancora ci sono. Non ti terrebbe vincolato sul campo che sia socialmente, sia culturalmente, sia politicamente ti ha visto sconfitto drasticamente. Peggio che sconfitto: così trasformato da essere irriconoscibile come formazione di Sinistra. Decidendo l’autoscioglimento allora avresti la forza di chiederlo a tutti coloro che vorrebbero rinascesse una forza di sinistra in Italia, influente, protagonista della vita del Paese. Chiedere un analogo gesto di generosità, cioè autosciogliersi. E aprire una fase costituente che rimetta dentro tutte le energie, con nuovi canoni, nuove forme di democrazia e di partecipazione. Una fase costituente. Che vuol dire anche individuare nuove forme di democrazia diretta e rappresentativa. Fare l’operazione dell’araba fenice. Dalle ceneri, rinascere. Davvero non capisco come non si veda la drammaticità di questo passaggio per la Sinistra. So bene che il termine autoscioglimento è duro ma se uno guarda la vicenda del grande e glorioso Partito socialista francese, forse può capire che si può finire anche con l’eutanasia. Prima che sia troppo tardi, fare questo grande atto. Non credo che sia demagogico neanche aggiungere un altro elemento che può sembrare provocatorio…
Quale?
Una dichiarazione della classe dirigente del Pd, rivolto anche alle altre formazioni, nella quale si manifesti il proprio impegno a proseguire la militanza della passione politica ma rinunciando fin d’ora a ricoprire nuovi ruoli dirigenti nella soggettività politica che si vuole costruire. Segnare totalmente una discontinuità che mette a disposizione delle nuove forze che si mettono in cammino.

Fonte: Il Riformista