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Giornata Memoria: sopravvissuti Olocausto affidano ricordi a IA

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I sopravvissuti all’Olocausto hanno affidato i loro ricordi dei campi di sterminio nazisti all’intelligenza artificiale per garantire che le generazioni future possano accedere ai ricordi del genocidio di sei milioni di ebrei. Il progetto del Museum of Jewish Heritage (MJH) raccoglie lunghe interviste video fatte nell’estate del 2024 a dieci sopravvissuti ai campi di concentramento. Il racconto parte dalla loro infanzia per arrivare alla sopravvivenza nei campi e poi al ricordo della liberazione e della ripresa di una vita ‘normale’. I visitatori del museo (e del suo sito web) possono “conversare” con loro attraverso il monitor e i sopravvissuti rispondono in modo interattivo in base alle risposte pre-registrate.
“Qualcuno sopravviverà perché abbiamo raccontato al mondo che cosa è successo, e forse siamo noi”, ha affermato la novantenne Toby Levy, nata nel 1933 in una regione della Polonia che oggi appartiene all’Ucraina. “Ricordai le parole (di mio padre), ‘sarai tu a dover dirlo al mondo’. Settantacinque anni dopo, eccomi qui negli Stati Uniti”, ha detto ancora Levy mentre riascolta i suoi ricordi da uno schermo all’interno del museo situato sulla punta meridionale di Manhattan con vista su Ellis Island, dove molti sopravvissuti all’Olocausto arrivarono per la prima volta negli Stati Uniti via mare. La novantenne era tra i 200 sopravvissuti all’Olocausto che si sono riuniti a New York per commemorare l’80esimo anniversario della liberazione di Auschwitz. “Siamo tutti sopravvissuti – ha detto ancora Levy – facciamo la nostra parte, quello che dobbiamo fare”.
Il progetto proteggerà per sempre i ricordi dei sopravvissuti, ha spiegato Mike Jones, l’ideatore del progetto nato dalla collaborazione tra le biblioteche dell’Università della California del Sud e l’MJH. “C’è un’eternità che sarà sempre importante e urgente fino al giorno in cui ci sarà semplicemente la pace sulla Terra”, ha osservato.
Alice Ginsburg, nata nel 1933 in quella che allora era la Cecoslovacchia e oggi Ungheria, ha raccontato la sua deportazione nel 1944 ad Auschwitz, dove è quasi morta di fame e per i lavori forzati prima che il campo venisse liberato il 27 gennaio 1945. È arrivata negli Stati Uniti due anni dopo. “È importante renderlo pubblico affinché non accada mai più”, ha affermanto, dicendosi preoccupata per l’aumento “di negazionisti dell’Olocausto, che è una forma di antisemitismo”. Jerry Lindenstraus, nato in Germania nei primi anni ’30 e residente a New York dal 1953 dopo l’esilio a Shanghai e in Sud America, ha detto da parte sua di voler parlare “affinché non si dimentichi mai che cosa è successo”. (AGI)