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Francesco, elogio della vocazione politica

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di Carlos García de Andoín

Tra le tante dichiarazioni rilasciate in questi giorni, spiccano le testimonianze di leader politici di vari orientamenti, che citano Francesco come fonte di ispirazione e stimolo per la loro azione.

Certamente, fin dal suo primo grande documento da papa, egli ha fatto appello alla necessità di aumentare il numero di donne e uomini in politica, perché «la politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima» (Evangelii gaudium 205). Era ben consapevole che per molti “la politica oggi è una parolaccia”, che la corruzione, l’inefficienza e gli interessi a breve termine affliggono la politica; Era consapevole anche del declino della politica democratica di fronte alle strategie tecnocratiche, ai populismi e alle autocrazie, ma difendeva con fermezza che non può esserci un cammino efficace verso la fratellanza universale, la cura ecologica della casa comune e la pace senza politica, senza una «buona politica» (Fratelli tutti 176).

Ma una politica sana non è possibile senza buoni politici. Tra i tratti del politico, Francisco insisteva in modo singolare su due: comprendere il dolore dei poveri e praticare l’amicizia sociale.

Anzitutto, richiede politici «che siano veramente interessati alla società, alla gente, alla vita dei poveri» (EG 205). Richiede che i leader siano personalmente, fisicamente, emotivamente e culturalmente vicini alla gente, soprattutto alla vita dei più vulnerabili e dei meno uguali. Non si tratta di una scelta ideologica, ma dell’esperienza personale e sensibile del dolore, della vicinanza, della compassione, perfino della tenerezza. «Anche in politica c’è spazio per l’amore tenero […] i più piccoli, i più deboli, i più poveri devono commuoverci: hanno il “diritto” di riempire le nostre anime e i nostri cuori» (FT 194). Sa che il luogo sociale, quella realtà esperienziale, sarà decisivo nelle decisioni di un buon politico. È qualcosa che lui stesso ha praticato anche nei suoi ultimi giorni: visitare e lavare i piedi ai prigionieri nel carcere di Regina Caeli, chiamare personalmente ogni sera i rifugiati nella parrocchia di Gaza o ascoltare le vittime della pedofilia clericale.

In secondo luogo, la pratica dell’amicizia sociale. Di fronte a una politica deteriorata dalla polarizzazione, in cui prevalgono la manipolazione della post-verità e le tecniche di squalifica dell’avversario, fino alla loro distruzione (FT 15), «applicando epiteti umilianti» (FT 201), Francesco invita allo spirito di fraternità e al rispetto per chi è diverso, sia per ragioni ideologiche, di razza, di identità sessuale, di etnia o di religione. Contro le politiche d’odio, promuove un dialogo aperto, franco e rispettoso nella ricerca di “una sintesi superiore” (FT 198). Il dialogo con chi ha posizioni diverse o opposte richiede di «avvicinarsi, di esprimersi, di ascoltarsi, di guardarsi, di conoscersi, di cercare di comprendersi, di cercare punti di contatto» (FT 198).

Questa forma di dialogo e di deliberazione rafforza la democrazia e, in ultima analisi, il senso di appartenenza alla stessa società, allo stesso popolo. Questa cultura dell’incontro, da lui auspicata in politica, è stata promossa anche all’interno della Chiesa attraverso quella che viene chiamata sinodalità, il cammino insieme. Lo ha messo in pratica anche in quella che si è rivelata essere la sua ultima udienza, con il vicepresidente Vance. Entrambi avevano dibattuto pubblicamente sul significato dell’amore cristiano: se comincia con chi ci è vicino in cerchi concentrici, con sé stessi, con la propria famiglia, con i propri vicini, con la propria patria, come sostiene l’americano, oppure se comincia, appunto, facendosi prossimo dell’altro più lontano o più bisognoso, attraversando confini e barriere di ogni genere, come nella parabola del buon samaritano (FT 81).

Ma una buona politica, al servizio del Bene Comune, non richiede solo buoni politici, ma anche la saggezza della strategia per trasformare i grandi valori in realtà. In questo, Francesco offre una sintesi di quattro principi d’azione per la convivenza sociale e la costruzione di «un popolo dove le differenze si armonizzano in un progetto comune» (EG 221). Il tempo è superiore allo spazio (EG 223). È un principio che ci consente di lavorare a lungo termine, senza ossessionarci sui risultati immediati. Dare priorità all’avvio di processi di cambiamento con convinzioni chiare e tenacia, ma senza ansia. L’unità prevale sul conflitto (EG 226). Senza ignorare il conflitto, sapendolo accettare, ma senza rimanerne intrappolati e trasformandolo nell’anello di un nuovo processo. La realtà è più importante dell’idea (EG 231). Se le idee prevalgono sulla realtà, aumentano i rischi di fondamentalismo, divisione, violenza e ideologizzazione. Il tutto è superiore alla parte (EG 234), il bene comune è superiore alla prospettiva particolare, ma secondo il modello non della sfera bensì del poliedro, che include le differenze.

Si tratta di principi che Francesco stesso ha messo in pratica nel governo della Chiesa, principi tipici di un radicale nelle convinzioni e di un riformatore nelle scelte. Il futuro determinerà se i processi avviati condurranno alle necessarie trasformazioni in questioni come l’uguaglianza delle donne o la partecipazione dei laici al governo della Chiesa.

Infine, Francesco, che conosce in prima persona la frustrazione che spesso accompagna l’impegno di un politico, così come di un pastore, ha detto con speranza che il politico mosso dall’amore non può rinunciare a nessuna azione o gesto, a nessuna generosa stanchezza o dolorosa pazienza: «Tutto questo circola nel mondo come una forza di vita» (FT 195). Così sia. Che le tue parole e le tue azioni ispirino una politica sana e buoni politici.