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«FERMI DAVANTI AI MORTI IN MARE NON È POLITICA, È BARBARIE»

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Il presidente del Centro Astalli risponde indirettamente a Meloni. “Impossibile fermare le migrazioni. bisogna governarle. Le Ong non sono parte del problema, ma della soluzione: sbagliato andare allo scontro”

Umberto De Giovannangeli

Un anno vissuto dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi: i migranti. Il Riformista ne parla con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Le sue riflessioni suonano anche come una risposta implicita al pensiero critico sui migranti della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che dal salotto mediatico di Bruno Vespa, Porta a Porta, va giù tranchant: “Quelli che accogliamo noi sono banalmente quelli che hanno i soldi da dare agli scafisti. Io non credo che questo sia un modo intelligente di gestire l’immigrazione”. Il presidente del Centro Astalli la pensa diversamente, all’opposto: “Garantire il diritto a non partire; se costretti a lasciare la propria terra farlo in modo sicuro, per una destinazione protetta; mettere in atto politiche di accoglienza e integrazione, nell’interesse dell’intera comunità. Non dovremmo mai dimenticare che il migrante è un fratello da aiutare”. E ancora: “Papa Francesco ci mette in guardia da tempo dalla cultura dello scarto. L’Italia sia motore europeo di umanità. Accogliamo la sfida: crescere come Unione per un’Europa continente di pace”.
“Affoga un’altra bambina. Il governa pensa di ostacolare i soccorsi”. Così questo giornale titolava in prima pagina riflettendo sull’ennesima tragedia in mare che è costata la vita a Rokia, una bimba di neanche tre anni. Padre Ripamonti l’umanità è morta nel Mediterraneo?
Purtroppo alla fine di quest’anno possiamo soltanto contare ancora molti morti nel Mediterraneo. Sembra quasi che non ci sia una volontà generale, sia dell’Europa che dell’Italia, di affrontare in modo organico questo tema. Un tema, quello delle migrazioni, che andrebbe affrontato nella sua complessità cercando di coinvolgere tutti i Paesi europei in un’assunzione di responsabilità riguardo alla ricerca e soccorso in mare delle persone che rischiano la vita per arrivare nel nostro territorio. Sembra che manchi quella volontà che pure abbiamo visto fattibile quando si lasciano da parte le contrapposizioni polemiche e si guarda al bene delle persone. Faccio riferimento alla protezione temporanea degli ucraini. In questo caso, tutta l’Europa si è messa attorno a un tavolo e ha trovato la soluzione più adatta per quel momento, per quella situazione, per quelle persone che erano in difficoltà. La mia speranza, il mio appello, è che lo si possa fare nell’anno che sta per arrivare, visto che nell’anno che si sta per concludere ha totalizzato solo più vittime. Continuare a rimanere fermi e indifferenti davanti all’abominio delle morti nel Mediterraneo non può essere strategia politica, perché è la barbarie. La politica, anche quella europea, insisto su questo, assuma la propria responsabilità di governare le migrazioni. Illusorio e senza prospettive continuare a parlare di strategie per fermare le migrazioni. Le migrazioni non possono essere fermate ma devono essere governate. Ed è triste vedere che ogni volta torniamo a incaponirci su aspetti specifici a spese delle persone: quelli che sono sulle navi devono aspettare, quelli in mare non vengono soccorsi, quelli nei centri di detenzione non vengono evacuati. Nel frattempo, la storia si fa un po’ gioco di noi: l’anno scorso al confine tra Bielorussia e Polonia si discuteva sull’accoglienza di poche centinaia di persone e poi dopo alcuni mesi la Polonia è stata sopraffatta dalla presenza di milioni di profughi ucraini. Resistiamo su alcune cose e non riusciamo a capire che invece il mondo va in un’altra direzione.
Intanto dopo le feste natalizie il governo è pronto a varare le nuove norme per le navi umanitarie: richiesta del porto dopo ogni salvataggio senza restare in zona Sar; stop ai trasbordi, multe e sanzioni fino alla confisca. Restrizioni anche per la protezione internazionale. Nulla cambia, quindi?
Purtroppo sembrerebbe di sì. Anche lì: bisognerebbe non andare allo scontro, al braccio di ferro con le organizzazioni umanitarie ma cercare di fare il bene delle persone. Le organizzazioni umanitarie, le Ong che cercano di salvare vite nel Mediterraneo, non sono parte del problema ma parte della soluzione. Bisognerebbe dar vita a un tavolo di confronto nel quale trovare la soluzione più adeguata per i migranti. Perché non dobbiamo mai perdere di vista qual è l’obiettivo di queste misure, cioè il soccorso e il salvataggio delle persone.
Al fondo resta un discrimine che è culturale prim’ancora che politico. Il migrante come minaccia o come ricchezza.
Negli ultimi anni abbiamo sempre trattato il migrante come minaccia. Il percorso che ci ha portato fino a qui viene da lontano. Da una criminalizzazione dell’immigrazione facendola diventare immigrazione clandestina, non offrendo una possibile alternativa di arrivo legale sul territorio e ciò ha fatto sì che questa criminalizzazione diventasse culturale e quindi ci si dovesse difendere dai migranti piuttosto che considerare i migranti come persone esattamente eguali a noi e come possibili nuovi cittadini del nostro Paese che collaborano alla costruzione di una nuova comunità plurale. La visione della criminalizzazione dell’immigrazione che diventa nel tempo culturale si è adattata benissimo alla considerazione dei singoli Paesi e dell’intera Europa come una fortezza che deve difendersi, che deve sigillare i propri confini. Il fatto è che le persone che arrivano sono una popolazione disarmata che cerca salvezza e giustizia. Non sono loro il nemico. Il nemico è l’ingiustizia che abbiamo creato nel mondo. Dobbiamo assumerci la responsabilità e l’impegno di lottare contro questo universo di ingiustizie e di diseguaglianze. Dobbiamo agire sulle cause profonde che determinano le partenze forzate, e una di esse è la povertà estrema e lo sfruttamento dalle quali milioni di persone cercano di fuggire. Soltanto lottando contro questo noi riusciremo ad attuare quel cambio culturale che non considera i poveri come dei nemici, come delle persone che se la sono cercata la loro condizione, ma come le vittime di un sistema che ha bisogno di essere strutturalmente riformato. Oggi chi fugge da guerre e persecuzioni e legittimamente vuole esercitare il proprio diritto di chiedere protezione negli Stati dell’Unione non ha alternative al traffico di esseri umani. Non si può tollerare che continuino le stragi quotidiane nel Mediterraneo, a cui si sommano quelle meno visibili nel Sahara e lungo le rotte della migrazione forzata. È urgente creare vie sicure e legali di accesso all’Europa: rilascio di “visti umanitari”, sospensione temporanea dell’obbligo di visto in alcune situazioni critiche, incremento del reinsediamento, ampliamento del diritto al ricongiungimento familiare, o altri meccanismi che potrebbero essere sperimentati in progetti pilota, in collaborazione con chi opera nei Paesi di origine o di transito.

Fonte: Il Riformista