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Di Graziella Gaballo

Elena Ballio, spesso citata ma poco conosciuta, fu una delle mazziniane che si batté per l’emancipazione femminile e che collaborò al periodico «La Donna», fondato nel 1868 da Gualberta Alaìde Beccari, che ne fu anche la direttrice.

I pochi dati che abbiamo non sono sufficienti a ricostruire la biografia di Elena in maniera del tutto esaustiva, ma è comunque possibile delinearne, grazie agli scritti, le coordinate di un vasto impegno politico-culturale che, a partire dalla prima giovinezza, si sviluppò intorno a un filo conduttore principale che teneva strettamente intrecciati i temi dell’emancipazione femminile e dell’educazione e istruzione delle donne.

Elena nacque nel 1847 (a Brescia, secondo alcune fonti; a Roma, secondo altre), da Giuseppe e da Ernesta Croci; due anni dopo nascerà a Milano la sorella Giulia. Ritroviamo la famiglia Ballio dagli anni Sessanta sino all’incirca al 1870 ad Alessandria, ma non sappiamo a partire da quale data i Ballio si siano stabiliti nella città piemontese né da dove provenissero, così come ignoriamo anche i motivi del loro trasferimento.

Proprio nel periodo in cui abitava con la famiglia ad Alessandria, si manifestò pubblicamente l’impegno di Elena sul tema dell’emancipazione femminile: infatti nel 1867 fu – insieme ad altre venticinque socie, tra cui la sorella Giulia – tra le fondatrici di un Comitato per l’emancipazione delle donne italiane, sorto a Napoli in appoggio al progetto di legge per l’Abolizione della schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna presentato da Salvatore Morelli. Il Comitato per l’emancipazione delle donne italiane fu “la succursale profana” delle logge di Adozione, cioè logge massoniche costituite da sole donne, ma poste sotto la vigilanza di un fratello massone che si diffusero in Italia per iniziativa di Giuseppe Garibaldi, Gran Maestro della Massoneria italiana di rito scozzese, il quale autorizzò, a partire dal 1864, la partecipazione femminile alla massoneria, nata come associazione solo maschile: verosimilmente proprio la massoneria (ad Alessandria sorse una loggia d’adozione intitolata a Eleonora Pimentel, che si andava ad aggiungere alle due sorte a Napoli e a quelle sorte a Roma e a Torino) fu il tramite che mise in contatto le sorelle Ballio con il gruppo napoletano.

In questa circostanza Elena – che apparteneva a una famiglia mazziniana – scrisse, probabilmente per informarlo dell’iniziativa e chiedere il suo parere, a Giuseppe Mazzini, che le rispose da Lugano il 4 ottobre 1867, con una lettera lunga e affettuosa in cui la incoraggiava a proseguire in questa “crociata”, ma anche richiamava lei e le sue compagne al “dovere”, sottolineando che nulla si può ottenere senza esserselo meritato e conquistato – “la donna meriti con le opere e il sagrificio la propria emancipazione”; lettera importante perché illustra con molta chiarezza il pensiero di Mazzini sull’uguaglianza tra i sessi e sull’emancipazione delle donne, ma anche perché costituì un punto di riferimento costante per il percorso politico e personale di Elena, che riprenderà più volte nei suoi scritti i concetti qui espressi.

L’anno seguente la giovane iniziò la sua collaborazione a «La Donna», che si proponeva di educare la cittadina del nuovo Stato italiano e di dotarla di strumenti critici e di conoscenza, per metterla nelle condizioni di rivendicare la propria autonomia e che fu, per più di venti anni, il principale organo di discussione e di informazione della prima generazione del movimento emancipazionista italiano – anticipando e forse preparando la formazione di quel movimento politico delle donne che cominciò solo più tardi a darsi una struttura organizzativa.

Per le redattrici di «La Donna» l’emancipazione femminile non era finalizzata solo a ridare dignità alla donna, bensì era necessità prioritaria per il rinnovamento della nuova nazione: e in questo le loro posizioni non coincidevano con quelle di Mazzini, per il quale l’emancipazione delle donne era strettamente legata a quella operaia e successiva alla realizzazione del più ampio progetto politico dell’autonomia degli italiani e dell’unità nazionale e avrebbe quindi potuto attuarsi unicamente con l’avvento della repubblica. Beccari e le sue collaboratrici capovolsero questo assunto, sostenendo che le donne avrebbero potuto contribuire in modo determinante – con la loro opera di educatrici e formatrici delle nuove generazioni – alla trasformazione sociale e dello Stato solo se emancipate e nel pieno esercizio dei loro diritti e doveri e ciò divenne anche la leva per rivendicare la necessità di una educazione femminile meno frivola e povera e il potenziamento quindi di scuole capaci di coinvolgere un gran numero di donne.

Ritroviamo tutti questi temi nel saggio di Elena Ballio, apparso “a puntate”, sul periodico, dal titolo Emancipazione della donna. L’emancipazione, “sacro diritto inalienabile della creatura pensante, e deliberante”, era la condizione necessaria perché la donna potesse adempiere con coscienza e consapevolezza ai propri doveri; essa significava infatti “non solo parificazione di diritti con l’uomo, ma precipuamente ed essenzialmente: illuminata coscienza di quei doveri che le sue qualità di madre, sposa, cittadina, e membro della famiglia umana le impongono”.

Quello che Ballio si proponeva era liberare le donne dagli esiti di un’educazione sbagliata, fondata su pregiudizi funzionali al privilegio maschile, per sostituirvene invece una che permettesse loro di esprimere e valorizzare le proprie qualità e rivendicare il diritto della donna a scegliere con chi sposarsi o se rimanere nubile: la prospettiva che voleva trasmettere alle sue “sorelle” era infatti quella di un matrimonio inteso come “bisogno morale ma non necessità, diritto ma non dovere”.

Si trovò anche a dover ribattere alle accuse di chi vedeva nell’emancipazione femminile un attentato all’unità della famiglia e della società e all’integrità morale, alle quali rispondeva osservando che chi muoveva tali accuse interpretava l’emancipazione non come “libertà, ma licenza; non coscienza dei diritti, ma sfrenatezza di desideri”. Un’altra obiezione che veniva spesso usata per opporsi all’emancipazione della donna, alla sua indipendenza, al suo diritto al lavoro e all’accesso alle carriere era quella secondo cui un suo impegno nello studio o nel lavoro le avrebbe sottratto tempo prezioso che sarebbe invece dovuto essere più proficuamente dedicato all’educazione dei figli. Scrupoli che non riguardavano, evidentemente, operaie che lavoravano magari anche sedici ore al giorno, come faceva notare sarcasticamente Ballio: appariva chiaro infatti che queste obiezioni erano rivolte alle donne sulla via dell’emancipazione – ad esempio quelle che aspiravano alle libere professioni e non a quelle che lavoravano nelle filande o nei campi, perché ciò che si intendeva negare era una parità di diritti, non certo di doveri.

Altro leit motiv dei suoi interventi è quello del ruolo delle donne nel nuovo Stato. Infatti – afferma – vista l’incapacità maschile di realizzare l’unità materiale e morale della penisola, a esse toccava farsi carico di portare a termine quel compito “[…] giacché l’uomo diserta in maggioranza la bandiera della unità nazionale, tocca alla donna prenderne il posto”, scrive ad esempio nel suo contributo all’Albo Cairoli, con cui si intese omaggiare la madre cittadina per eccellenza, Adelaide Cairoli, che aveva visto ben quattro dei suoi figli morire per la patria ma che sempre, davanti a queste tremende perdite, aveva saputo mantenere un comportamento di grande dignità, anteponendo la vittoria degli ideali risorgimentali agli affetti familiari.

Dal 1970 non ritroviamo più le sorelle Ballio ad Alessandria, bensì a Roma dove entrambe, dopo aver frequentato la Scuola Normale ad Alessandria, si dedicarono all’insegnamento nelle scuole elementari e dove risiedettero sino alla loro morte. Ma, appena arrivate nella capitale, tutte e due le sorelle seguirono anche i corsi della facoltà di Lettere e Filosofia: scelta veramente eccezionale per l’epoca, tanto che a essa dedicava un articolo, il 15 aprile 1873, la rivista «Aurora. Periodico di istruzione e di educazione, libera palestra per le giovani». A quella di insegnante prima e di direttrice scolastica dopo, Elena affiancò inoltre alcune altre attività – di autrice di manuali, collaboratrice di riviste del settore, conferenziera – a esse collegate.

La ritroviamo nel 1908, in qualità di relatrice, al Congresso femminile nazionale – organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale delle donne italiane (Cndi) e che vide la presenza di più di mille donne in rappresentanza di quasi cento associazioni – con un intervento dal titolo Perché il voto femminile incontra tante ostilità. Elena Ballio rispondeva a quella domanda dicendo che la causa principale di queste ostilità era dovuta al fatto che il diritto di votare implicava anche il diritto di essere elette, ma ne individuava poi anche altre: innanzi tutto, il fatto che “la grande massa del popolo è ancora molto ignorante e sotto il dominio di pregiudizi storici-religiosi-etici-sociali che fanno considerare la donna fisicamente e intellettualmente inferiore all’uomo”; i timori che la donna italiana non avesse ancora l’educazione necessaria per esercitare utilmente i diritti politici: l’egoismo dell’uomo comune, che temeva di dover rinunziare ai vantaggi che traeva dalla dipendenza e dalla inferiorità giuridica della donna, e quello di molte donne intellettuali, soddisfatte e gelose della propria superiorità; infine, l’indifferentismo politico, il “più nocivo di tutti”, per la sua unica ma terribile forza, che è l’inerzia. E concludeva con una “profezia” carica di fiducia e ottimismo:

L’uomo si abituerà a vedere accanto a sé, sopra di sé, la donna elettrice ed eletta, come i fanciulli ed i giovani si abitueranno a vedere le fanciulle e le donne dettare lezioni dall’alto di una cattedra universitaria. Fra pochi anni nessuno più penserà che la differenza del sesso costituisca una ragione d’inferiorità o di superiorità, e insensibilmente, per forza fatale dell’immane evoluzione, il regno dell’uguaglianza sarà attuato.

Dopo questa uscita pubblica, pare calare il silenzio su Elena, che morì il 10 novembre del 1917

Fonte: Enciclopedia delle  donne//