DiAvv. Marcella Ferrari
Il dies a quo della prescrizione, in relazione alle somme illegittimamente addebitate al cliente dalla banca, varia a seconda che le rimesse in conto corrente siano solutorie o ripristinatorie.
Il termine di 10 anni per esperire l’azione di ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.) decorre dalla chiusura del conto o dalla data dei singoli addebiti?
Nel caso in cui il correntista esegua un pagamento alla banca, il termine prescrizionale decorre dalla data del singolo versamento. Viceversa, se il versamento ha natura ripristinatoria della provvista, ossia non vale come pagamento alla banca, la decorrenza è dalla chiusura del rapporto.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza 23 dicembre 2020, n. 29411 (testo in calce).
Sommario
Una società evocava in giudizio la banca presso cui era correntista, chiedendo la restituzione delle somme illegittimamente addebitate dall’istituto di credito a titolo di interessi anatocistici. In primo grado, la convenuta veniva condannata al pagamento a favore della società attrice di circa 98 mila euro. La banca impugnava la decisione ed eccepiva l’intervenuta prescrizione, la corte d’appello respingeva l’eccezione, ritenendo che il termine decennale, per la ripetizione dell’indebito, decorresse dalla chiusura del conto. Inoltre, il giudice deferiva il giuramento estimatorio nei confronti della società in relazione all’ammontare del credito vantato verso la banca. Si giunge così in Cassazione.
La Suprema Corte censura la decisione dei giudici di merito, laddove questi hanno respinto l’eccezione di prescrizione, sollevata dalla banca, sostenendo che l’azione di ripetizione dell’indebito si prescriva in dieci anni dalla chiusura del conto. Il giudice di merito, nella motivazione, rinvia alla sentenza della Corte Costituzionale (78/2012) che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2 c. 61 del decreto milleproroghe (d.l. 225/2010). Tale norma prevedeva che per le operazioni bancarie regolate in conto corrente, l’art. 2935 c.c. – sulla decorrenza della prescrizione – si interpretasse nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa.
Ebbene, tale assunto non è corretto e il rinvio alla pronuncia della Consulta non risulta pertinente. Al contrario, occorre fare rinvio alla decisione delle Sezioni Unite (24418/2010) che si sono pronunciate sulla prescrizione dell’indebito, operando una distinzione tra:
A seconda della natura della rimessa, quindi, muta il dies a quo della prescrizione.
L’azione del cliente, che evochi in giudizio l’istituto di credito per ottenere la ripetizione (ossia la restituzione) di quanto indebitamente pagato a titolo di interessi anatocistici, relativamente ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente, è soggetta alla prescrizione decennale.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la prescrizione dei versamenti con funzione ripristinatoria della provvista decorre non già dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto.
Qual è la ratio di tale distinzione?
Il pagamento, che può dar vita ad una pretesa restitutoria, è solo quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del cliente (solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore della banca (accipiens). Infatti, il diritto ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto sorge dal momento in cui sia stato compiuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che secondo il cliente è indebito (ossia non dovuto). Prima di quel momento, non è ipotizzabile alcun diritto alla restituzione.
Quando un versamento si considera come pagamento?
Il versamento si considera alla stregua di un pagamento – suscettibile di essere restituito in quanto corrisposto indebitamente – solo allorché abbia lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca.
Per la Cassazione questo accade:
Viceversa, ciò non si verifica quando i versamenti in conto hanno natura ripristinatoria della provvista, poiché il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso al cliente.
Dirimente la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie
Al lume di quanto sopra, è decisiva la distinzione tra versamento avente natura di pagamento (rimessa solutoria) e il versamento volto a integrare la provvista (rimessa ripristinatoria). Infatti, ai fini dell’azione di ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.), solo le rimesse solutorie si considerano pagamenti e la prescrizione decorre dal momento in cui abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece, “non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista: sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti”.
Riassumendo, ricorre:
La Corte censura il ricorso fatto dal giudice di merito al giuramento d’estimazione. Si tratta di un giuramento che il giudicante può deferire ad una delle parti soltanto quando non sia possibile accertare altrimenti il valore della cosa (art. 241 c.p.c. e art. 2736 n. 2 c.c. ultimo paragrafo). La Cassazione precisa come il giuramento estimatorio possa avere ad oggetto anche una somma di danaro allo scopo di stabilire il suo esatto ammontare (Cass. 4659/1984). Tuttavia, non si può ricorrere ad esso per supplire a un esame del materiale probatorio acquisito durante il processo. Infatti, in base a una giurisprudenza risalente (Cass. 33210/1962), il giuramento di estimazione non può “essere fatto valere nemmeno nel caso in cui della affermazione creditoria e della domanda giudiziale dell’attore sia stata data prova, ancorché insufficiente, e perciò da integrare”. Pertanto, non si può ricorrere al giuramento in questione nell’ipotesi in cui una prova del valore del bene sia stata offerta e si tratti solo di apprezzarne la portata.
Secondo la Cassazione, il giudice di merito, a seguito dell’eccezione di prescrizione della banca, avrebbe dovuto acclarare:
Una volta individuate le rimesse solutorie poste in essere nel periodo indicato, il giudice avrebbe dovuto dichiararle prescritte.
Quindi, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello, che dovrà conformarsi ai seguenti principi di diritto:
CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 29411/2020 >> SCARICA IL PDF