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Cani radioattivi di Chernobyl: cosa ci svela l’ultimo studio sul loro DNA?

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Vivono e si riproducono all’interno della zona di esclusione da generazioni: gli scienziati ritengono che lo studio del loro DNA possa rivelare informazioni importanti sugli effetti dell’esposizione alle radiazioni.

Il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Černobyl′ si è verificata un’esplosione che ha causato il peggior incidente radioattivo mai avvenuto. Nel 2017 il fotografo Mike Hettwer si è recato nella zona di esclusione di Černobyl′ insieme all’organizzazione animalista Clean Futures Fund per una campagna di sterilizzazione dei cani randagi del luogo. Normalmente la sera i cani si radunano presso l’ingresso della struttura denominata Nuovo confinamento sicuro (costata 2 miliardi di dollari, ovvero circa 1,8 miliardi di euro, che si vede sullo sfondo nella foto) che copre il reattore danneggiato. I veterinari di Clean Futures Fund hanno anche raccolto campioni di sangue nell’ambito di un lavoro di ricerca all’avanguardia sul DNA che è stato pubblicato nella rivista Science Advances. Lo studio ha rivelato che i cani che oggi popolano la zona sono i discendenti di quelli rimasti al tempo del disastro. Il loro DNA potrebbe aiutarci a comprendere meglio quali sono gli effetti a lungo termine dell’esposizione alle radiazioni sulla salute e sulla genetica umana.

Quando nel 2017 Timothy Mousseau ha raggiunto la centrale nucleare di Černobyl′ – uno dei luoghi più radioattivi al mondo – la popolazione di cani randagi della zona aveva raggiunto i 750 individui.

Si presume che questi cani siano i discendenti di quelli che furono abbandonati dopo i devastanti accadimenti del 26 aprile 1986, quando l’esplosione e il successivo incendio di uno dei reattori causarono l’incidente più grave nella storia dell’energia nucleare. Nell’arco di 36 ore le autorità sovietiche evacuarono 350.000 abitanti della cittadina di Pripyat, che si trova a soli 3 chilometri di distanza, alcuni dei quali hanno lasciato la propria casa solo con gli abiti che avevano addosso. Quelle persone sono state obbligate ad abbandonare i loro amati animali domestici, e molte non hanno più fatto ritorno nei circa 2.600 km quadrati della zona di esclusione di Černobyl′.

 

Un turista si fa un selfie con indosso una maschera antigas davanti all’arco di contenimento (il cosiddetto “sarcofago”). Come rivela questa immagine composita in parte realizzata con una gamma camera, i materiali contaminati continuano a emettere radiazioni, ma la visita del sito per brevi lassi di tempo è sicura. I turisti spesso davano da mangiare ai cani della zona, prima dell’invasione russa.

Mousseau, biologo evoluzionista dell’Università della Carolina del Sud, stava collaborando con una squadra dell’organizzazione non profit statunitense Clean Futures Fund (CFF), recatasi in Ucraina per attuare un programma di sterilizzazione e vaccinazione allo scopo di controllare la popolazione di randagi. Mousseau si è coordinato con il team di ricerca raccogliendo campioni di sangue e di tessuto per l’analisi del DNA. È dal 2000 che il biologo statunitense conduce studi sulla fauna selvatica di Černobyl′, ma questo progetto offre un laboratorio vivente per studiare le mutazioni genetiche indotte dalle radiazioni in un grande numero di animali; dal 2017 al 2022 Mousseau ha partecipato a quattro missioni, e ha in programma di tornare anche quest’anno.

Elaine Ostrander, che gestisce il Dog Genome Project presso l’istituto di ricerca National Human Genome Research Institute, è stata incaricata di sequenziare i campioni di DNA. I risultati del lavoro del team, recentemente pubblicati nella rivista Science Advances, comprendono la caratterizzazione della struttura genetica di 302 cani meticci randagi e la ricostruzione dei relativi pedigree, che hanno portato all’identificazione di 15 diverse famiglie, alcune più numerose, altre più piccole.

Alcuni cani aspettano di ricevere gli avanzi davanti alla mensa dei lavoratori. “Grazie ai progressi compiuti nel campo della genetica molecolare siamo in grado di ricostruire la genealogia di questi animali. Possiamo individuare genitori e figli, i rapporti di parentela che ci sono tra i vari esemplari e sulla base di queste informazioni eseguire una dettagliata valutazione di quello che chiamiamo tasso di mutazioni de novo”, spiega Mousseau. I ricercatori sperano di usare questi dati genealogici per stabilire quali mutazioni sono comparse, e se queste sono o meno correlate all’esposizione alle radiazioni.

I cani si sono molto affezionati a una lavoratrice di Černobyl′, che li nutriva tutte le mattine. Il cibo e le cure dei lavoratori di Černobyl′ li hanno aiutati a sopravvivere in questo ambiente estremamente ostile.

Questi risultati forniscono dati preliminari di base per un progetto pluriennale che si propone di analizzare il tipo di impatto che l’esposizione cronica alle radiazioni ha avuto sulla genetica dei canidi. Mousseau e Ostrander hanno concordato che il primo passo era conoscere la popolazione: stabilire quali fossero i rapporti di parentela e in quali aree si fossero stabilite le diverse popolazioni, perché l’intensità delle radiazioni varia anche di molto da zona a zona. Così, nelle operazioni di raccolta dei campioni ematici Mousseau ha registrato anche il luogo in cui ogni cane è stato catturato.

I cani di Černobyl′ sono preziosi per la scienza, perché dopo il disastro hanno vissuto e si sono evoluti in condizioni di isolamento per 15 generazioni. Muoiono a tre o quattro anni, quindi giovani rispetto ai 10-12 anni di vita media di un cane di circa 35 kg. Dato che il pool genico viene portato avanti per un tempo così breve, Ostrander ipotizza che “qualsiasi cosa sia successa nel genoma, tale da aver consentito a questi cani di sopravvivere in un ambiente così ostile, probabilmente si tratta di mutazioni significative, che coinvolgono geni preposti a funzioni importanti”.

Identificando le famiglie, i ricercatori possono rilevare le differenze tra i genitori e la prole. Le mutazioni – o il potenziale di mutazioni – possono essere state trasmesse dalle generazioni che per prime sono sopravvissute allo scoppio del 1986.

Questa ricerca può fornire importanti informazioni su quelli che sono gli effetti delle radiazioni sui mammiferi, inclusi gli umani, sostengono gli esperti.

“Quello che vogliamo scoprire, in ultima analisi, è cosa è successo al DNA genomico che ha permesso a questi cani di sopravvivere e riprodursi in un ambiente radioattivo”, afferma Ostrander.

I veterinari hanno usato delle cerbottane per sedare i cani da catturare. Le operazioni di sterilizzazione, prelievo del sangue, scansione delle radiazioni, pesatura e l’eventuale somministrazione di farmaci sono state eseguite in ambiente chirurgico. Il sedativo usato è innocuo e la sua efficacia svanisce dopo alcune ore.

Cani abbandonati in un ambiente radioattivo

Il disastro di Černobyl′ ha causato il rilascio nell’atmosfera di una quantità di materiale radioattivo 400 volte superiore a quello della bomba atomica sganciata su Hiroshima. I venti poi lo hanno distribuito in maniera disuniforme, creando aree di maggiore e minore radioattività.

Oggi, dopo 37 anni, la maggior parte delle radiazioni proviene da cesio e stronzio di lunga durata, ma nel suolo sono presenti anche altri radionuclidi, come plutonio e uranio. Le particelle radioattive emettono un’energia così potente da “strappare” gli elettroni dalle molecole all’interno delle cellule. Questo può rompere i legami chimici nel DNA, causando mutazioni. Le cellule sono dotate di meccanismi di riparazione dei danni, ma le mutazioni possono provocare il cancro, ridurre la durata della vita e compromettere la fertilità.

 

Una volta “colpiti”, i cani dovevano essere rintracciati in fretta: il sedativo agiva rapidamente e gli animali perdevano i sensi dopo pochi minuti.

Una volta recuperati, i cani venivano delicatamente sistemati nel retro di un camioncino e trasportati nell’ambulatorio veterinario creato con quanto disponibile nel sito per essere sottoposti ai trattamenti.

Nel libro Preghiera per Černobyl’ (vincitore del premio Nobel per la letteratura) l’autrice ricostruisce i terribili primi giorni del disastro attraverso testimonianze orali dalle quali traspare anche il trauma che le persone hanno vissuto a seguito dell’abbandono forzato dei propri animali. “Famiglie affrante lasciavano messaggi sulle porte di casa: Non uccidete la nostra Zhulka. È una brava cagnolina”. Una persona ricorda che “i cani ululavano, cercavano di salire sugli autobus; c’erano meticci e cani di razza. I soldati li respingevano, li cacciavano a calci. Per anni hanno continuato a correre dietro agli autobus”.

Poco dopo arrivarono le squadre dei militari. Uccidevano i cani per limitare la diffusione della contaminazione radioattiva e delle malattie. Alcuni animali sono riusciti a sfuggire ai propri carnefici, sopravvivendo nei boschi circostanti la centrale e vicino a Pripyat.

Avanti veloce: nel 2010 è iniziata la costruzione della struttura denominata Nuovo confinamento sicuro sul reattore danneggiato. Migliaia i lavoratori che hanno prestato la propria opera. Più o meno contemporaneamente Černobyl′ è diventata una destinazione del turismo nero (o dark tourism), ovvero di quel turismo che ha come meta luoghi che sono stati teatro di disastri. I cani si sono spostati nelle zone frequentate, e le persone li hanno nutriti. Con la rapida crescita del loro numero, è aumentata anche la preoccupazione per possibili epidemie di rabbia.

 

Un veterinario misura i livelli di radiazioni su un cane sedato, usando un rivelatore a scintillazione. Dopo la decontaminazione, i cani sono stati sterilizzati, pesati, gli è stato eseguito un prelievo di sangue e sono stati sottoposti ai necessari trattamenti medici.

L’organizzazione Clean Futures Fund, fondata nel 2016 con l’obiettivo di fornire supporto e assistenza sanitaria alle comunità colpite da disastri, si è accorta che anche i cani avevano bisogno di aiuto. Quando l’autorità che gestisce la zona di esclusione ha emesso i necessari permessi per fornire i servizi di assistenza veterinaria e attuare misure di controllo della popolazione, il team di veterinari della CFF ha istituito un ospedale di fortuna in uno dei vecchi edifici. Mousseau ha organizzato un laboratorio e collaborato con i veterinari durante le procedure.

Operare sul campo

Jennifer Betz, la veterinaria responsabile del programma, ha descritto le varie fasi del processo: “Prima catturavamo i cani, poi procedevamo a sterilizzazione, vaccinazione, applicazione di microchip e marcatura… E Tim inseriva i dosimetri ai marcatori auricolari. Poi li rilasciavamo dove li avevamo presi, dando loro la possibilità di vivere liberamente in modo più felice e sano possibile”. I veterinari fornivano anche tutti i trattamenti medici necessari.

Questi cani non possono essere spostati dalla zona di esclusione, continua Betz, “perché contengono quantità significative di contaminanti radioattivi, nella pelliccia o nelle ossa”.

Ma c’è stata un’eccezione. Nel 2018, per 36 cuccioli le cui madri erano morte è stato concesso il permesso di trasporto, per salvarli: non sarebbero sopravvissuti. Sono stati decontaminati e adottati da famiglie statunitensi e canadesi. Sono stati esposti alle radiazioni quando si trovavano nell’utero per tre-quattro settimane prima di essere prelevati. Il team medico continuerà a seguire lo stato di salute di questi cani per il resto della loro vita, osservando l’eventuale insorgenza di tumori, linfomi o altre patologie.

 

Al termine dei test e degli interventi chirurgici, i cani venivano spostati in una stanza in attesa che si risvegliassero. Una volta svanito l’effetto dell’anestesia, venivano riportati nell’area di Černobyl’ dove erano stati presi.

La struttura di Nuovo confinamento sicuro è stata installata per coprire i resti del reattore numero 4. L’analisi del DNA mostra che i cani che vivono nei pressi della struttura, che sono esposti ai più alti livelli di radiazioni, sono geneticamente distinti dalle altre due popolazioni locali.

A volte i ricercatori recuperano dosimetri indossati per mesi o anni, che rivelano un’esposizione totale. I cani che vivono nei dintorni del reattore assorbono una quantità di radiazioni che è migliaia – se non decine di migliaia – di volte più alta dei livelli normali, afferma Erik Kambarian, cofondatore e presidente di Clean Futures Fund.

Mappare le mutazioni genetiche

L’analisi di Ostrander ha individuato due diverse popolazioni di cani, con un’identità genetica sorprendentemente distinta e un ridotto flusso genico tra loro. La metà circa degli individui si trova in prossimità della centrale, il luogo più radioattivo, e tra questi ci sono tre famiglie che vivono all’interno di un impianto di stoccaggio del combustibile nucleare esaurito. L’altro gruppo abita la zona meno contaminata di Černobyl′ città, a circa 15 km di distanza, dove vivono i lavoratori (anche se la popolazione umana presente si è molto ridotta dopo il completamento della nuova struttura di contenimento). Qualche campione è stato raccolto anche da cani che vivono a Slavutych, a circa 45 km dalla centrale.

Ostrander ha sequenziato i genomi dei cani e ne ha identificato la razza, ottenendo informazioni che le consentono di confrontare la genetica di questi esemplari con quella di cani simili che vivono in aree dove non sono presenti radiazioni. In entrambe le popolazioni è stato rilevato DNA di Pastore tedesco e di altre razze di cani da pastore europei. Pare che i cani della zona di Černobyl′ città si siano accoppiati con i cani dei lavoratori, in quanto presentano geni di razza Boxer e Rottweiler.

Questo è il primo studio del genere eseguito su dei grandi mammiferi di Černobyl′, fa notare Andrea Bonisoli-Alquati, biologo della California State Polytechnic University di Pomona, che lavora a Černobyl′ ma non ha preso parte allo studio. Il ricercatore aggiunge che questo lavoro sta fornendo importanti strumenti e metodi genetici per studiare grandi popolazioni, nonché conoscenze fondamentali sul modo in cui le mutazioni genetiche sono correlate alle malattie, in particolare nei vertebrati.

Il passo successivo è osservare quali parti del genoma sono cambiate negli ultimi 37 anni, afferma Mousseau. Il team spera di trovare risposta a molti interrogativi. Cosa deve accadere perché i cuccioli nascano vivi e siano in grado di crescere? I geni che sono cambiati coincidono con ciò che sappiamo sugli effetti delle radiazioni? Si chiede il ricercatore. Ci sono cambiamenti nei geni coinvolti nella riparazione del DNA, nel metabolismo o nell’invecchiamento – oppure sono nuovi tipi di reazioni che hanno permesso ai cani di sopravvivere? A quali livelli il danneggiamento inizia ad essere di notevole entità?

La speranza è che questi cani, e questa ricerca, ci aiutino a comprendere meglio i rischi associati all’esposizione alle radiazioni.

IN COPERTINA FOTOGRAFIA DI MIKE HETTWER

 

FONTE: nationalgeographic.it/