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Bioeconomia, la riscoperta del Mezzogiorno del fare

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di Amedeo Lepore

Il cambio di paradigma del Mezzogiorno e dell’Italia nel campo della transizione ambientale si chiama bioeconomia circolare. Si tratta di un metasettore, per suo carattere trasversale, composto da agricoltura e filiere agroalimentari, chimica e plastica, farmaceutica, legno e carta, tessile e abbigliamento, arredo, costruzioni, acque e rifiuti organici, bioenergie, fino a nuovi ambiti come automotive e aerospazio.

Secondo i dati delle ultime due edizioni del Rapporto sulla Bioeconomia in Europa (2022-2023), realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster italiano della Bioeconomia Circolare “Spring”, questo sistema complesso in soli quattro paesi (Francia, Germania, Italia e Spagna) ha generato una produzione di circa 1.740 miliardi di euro, con un’occupazione di oltre 7,6 milioni di persone.

L’Italia ha realizzato una produzione pari a 415,3 miliardi di euro e circa 2 milioni di addetti, con un’incidenza pari all’11% del valore di tutte le attività economiche e un’elevata resilienza, dimostrata da una capacità di recupero produttivo in tutti i comparti, con un rimbalzo del 15,9% nel 2022.

Nel Mezzogiorno, la bioeconomia circolare, dopo gli importanti successi ottenuti dai settori della green economy negli anni trascorsi e testimoniati dai Rapporti Svimez, presenta dati rilevanti, ma soprattutto un tessuto in crescente radicamento. Il Sud, nel 2019, occupava 714.000 addetti, con una quota pari al 10,4% del totale delle attività dell’area.

Un aspetto molto significativo è l’incidenza del valore aggiunto della bioeconomia in singole aree territoriali sul totale regionale: il Mezzogiorno, con 24,9 miliardi di euro, pari al 7%, ha primeggiato insieme al Nord-Est, con 29,9 miliardi, pari all’8%, collocandosi al di sopra della media nazionale. Al contrario, il Nord-Ovest si è posto al di sotto di tale media con il 5,3% e il Centro si è attestato al 5,8%.

All’interno della bioeconomia del Sud prevale il comparto agroalimentare, che ha assorbito il 78% di tutte le attività, con un peso preponderante della filiera agricola rispetto a quella dell’industria di trasformazione. Una presenza apprezzabile nella composizione della bioeconomia meridionale hanno i settori dell’abbigliamento, della farmaceutica, del legno e della carta.

Una recente indagine, condotta dai Centri Studi di Cluster “Spring” e Unioncamere “Guglielmo Tagliacarne”, è stata rivolta per la prima volta direttamente alle imprese italiane e alle filiere produttive della bioeconomia. I risultati per il Mezzogiorno sono del tutto eloquenti. Le aziende del Sud sono maggiormente votate alla bioeconomia: circa il 51% del loro fatturato proviene da produzioni di origine biologica (bio-based), mentre nel resto d’Italia arriva al 48%. Inoltre, sono in maggiore misura dedite all’esportazione: ben l’83% delle imprese meridionali della bioeconomia esporta i propri prodotti all’estero, mentre nel Centro-Nord la percentuale è del 76%.

Le aziende “verdi” del Mezzogiorno, poi, sono resilienti al pari di quelle degli altri territori: nel 2021, il fatturato è stato stazionario o in crescita per il 94% delle imprese meridionali della bioeconomia (nel resto d’Italia, per il 92%, ma con una maggiore propensione all’incremento); l’occupazione è stata stazionaria o in crescita per il 97% delle imprese “bio” del Sud (nel Centro-Nord, per il 95%); le esportazioni sono state stazionarie o in crescita per l’80% delle imprese “bio” meridionali (nel resto d’Italia, per il 71%). Vi sono altri dati elaborati da Svimez e Tagliacarne, su cui riflettere. Nel Mezzogiorno quasi un quarto delle aziende (il 23,6%) fa parte del metasettore della bioeconomia, contro un quinto circa (il 19,7%) delle aziende del Centro-Nord.

Le imprese “bio” del Sud sono anche più innovative, visto che il 59,8% ha effettuato o effettuerà investimenti in tecnologie di ultima generazione tra il 2017 e il 2024, rispetto al 56,3% del resto del Paese. E il 50% delle aziende meridionali della bioeconomia ha adottato un modello di open innovation, rispetto al 46,1% del Centro-Nord. Peraltro, il 63,4% delle imprese del metasettore nel Mezzogiorno ha investito, sempre tra il 2017 e il 2024, in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e/o a minore impatto ambientale, in corrispondenza con il 63,2% del resto d’Italia.

Infine, riscontri favorevoli per le attività della bioeconomia nei territori del Sud si registrano anche negli investimenti programmati per la ricerca e sviluppo, nei percorsi formativi dei lavoratori, nei risultati relativi alla produttività, alla qualità dei prodotti, alla riduzione degli scarti e, in genere, alla competitività. Nel campo cruciale dell’energia, gli avanzamenti di biocarburanti e carburanti sintetici – una progressiva alternativa a quelli fossili, per le finalità della decarbonizzazione – rappresentano un volano di sviluppo per il Mezzogiorno, in una logica di crescente collaborazione e interazione tra la sponda Nord e quella Sud del Mediterraneo, contraddistinte da dotazioni di risorse naturali, economiche e tecnologiche di tipo complementare.

Un altro elemento di valutazione è contenuto nell’analisi di Althesys sulle potenzialità di diffusione del biogas nelle regioni meridionali, con una produzione stimata di 3,1 miliardi di metri cubi di biometano al 2030, un impatto complessivo tra i 18 e i 27 miliardi di euro, a seconda degli scenari, e un aumento di 8.000 occupati previsto nel comparto. Il Mezzogiorno, dunque, già svolge un ruolo centrale nella transizione ambientale ed energetica, come dimostrano le ampie informazioni riportate sulle imprese e sull’economia del metasettore circolare.

Ma questa parte del Paese si presenta pure come il territorio maggiormente vocato ad accogliere il modello fondato sulla bioeconomia, sia per la sua collocazione geografica e le sue caratteristiche ambientali, sia per il suo “vuoto produttivo” e le aree dismesse da riconvertire, largamente disponibili per insediamenti innovativi, portatori di una forma originale di avvenire industriale.

La riscoperta del Mezzogiorno del fare non è semplicemente un ritorno alla sua stagione migliore, quella del primo dopoguerra e dell’industrializzazione, che contribuì in modo decisivo al “miracolo economico” italiano, ma è uno sguardo rivolto al futuro. Non è neppure una rincorsa all’autosufficienza, che lo condannerebbe a un pericoloso isolamento e a un inevitabile ripiegamento sul passato, ma è la paziente costruzione di un Sud moderno e competitivo, sempre più inserito nello spazio euromediterraneo e capace di calcare i tempi vorticosi del mondo attuale.

Si può interpretare la condizione dell’area meridionale di un “Paese troppo lungo”, come lo definiva Giorgio Ruffolo, in due modi: o attraverso un’immagine statica, che ne riproponga l’antica frattura e il divario strutturale di sviluppo, o mediante le sue dinamiche e i suoi movimenti carsici, che preludono a nuovi assetti dell’economia e della società. Perciò, il neomeridionalismo di cui si avverte la necessità è l’espressione di una visione aperta, capace di cogliere le trasformazioni e i punti di forza di un Mezzogiorno in cammino, non solo le sue antiche debolezze.

La nuova frontiera dello sviluppo va ben al di là dell’impostazione iniziale della “economia ecologica”, che individuava nell’esigenza di bloccare gli impatti negativi della produzione sulla natura il principale compito di una strategia di sostenibilità, fino a prevedere una vera e propria decrescita allo scopo di salvaguardare l’habitat e il clima. L’evoluzione della conoscenza che porta alla bioeconomia circolare permette di fondare un nuovo modello di crescita economica, basato sull’applicazione di specifiche innovazioni tecnologiche, sull’impiego di risorse biologiche, materie ed energie rinnovabili, sull’adozione di processi produttivi orientati alla riduzione e alla progressiva eliminazione di residui ed emissioni nocive. In questo modo, la transizione ecologica diviene una rivoluzione industriale inedita, un’occasione imperdibile per il Sud, che si trova già sulla cresta dell’onda del fenomeno e dei relativi cambiamenti in corso.

Questi temi sono estesamente affrontati in un recente volume dal titolo “L’evoluzione della bioeconomia circolare. Un motore per lo sviluppo industriale dell’Italia e del Mezzogiorno”, che motiva ancora di più la possibilità di un protagonismo attivo e responsabile del Sud all’interno di una ripresa e di un avanzamento economico dell’intero Paese.