Type to search

Arte: Isgrò e la Rotta dei Catalani, Siciliani come formiche

Share

Sono stati necessari ventitré anni perché l’ottantacinquenne artista siciliano Emilio Isgrò vedesse finalmente e definitivamente esposta la sua grande opera del 2000, “La rotta dei catalani”, apparsa per poche settimane l’anno dopo a Palermo in una mostra di Bonito Oliva e poi accantonata dal Comune, che l’aveva acquistata, in attesa di sistemazione. L’opera riesumata occupa oggi un’intera sala della Galleria d’arte moderna del capoluogo siciliano ed è formata da tre grandi pareti, due laterali e una frontale, al centro della quale campeggia in rilievo un libro aperto su pagine che riproducono un orbe terracqueo dove sciamano, provenendo dalle pareti laterali, colonne di formiche come richiamate proprio dal libro in figura di colonia e in cammino per popolare una terra promessa rispondendo all’esortazione iscritta sul libro, sopra in italiano e sotto in catalano: “Formicolate! Formicolate! Formicolate per tutto il Mediterraneo”. Gli insetti sparsi nelle due pagine sono pochi rispetto alla moltitudine che è ancora in cammino nel segno di un processo di rifondazione del nuovo mondo figlio del Mare nostrum che è appena agli inizi: e tali le due colonne sono da dirigersi verso il libro quasi a formare un manto e dunque per sacralizzarlo e rendere l’appello a formicolare una chiamata evocatrice. “L’idea – dice Isgrò all’AGI – mi nacque rivedendo nel 2000 la mia città natale, che divide il nome con la capitale della Catalogna. Realizzai l’opera proprio a Barcellona, dove mi venne chiesto di dare ai siciliani un segnale di speranza sul futuro. Non potei perciò non ripensare ai catalani che venivano in Sicilia a portare i loro traffici commerciali, attraversando il Mediterraneo alzando le insegne dello scambio, della grazia, dell’integrazione. Allora ho immaginato la rotta dei catalani come una via che i siciliani dovessero seguire nello stesso mare: girando in positivo quanto ci fosse di problematico in quegli anni di assistenzialismo e di regressione. E ho trovato nei comportamenti delle formiche, così laboriose e operose, l’esempio cui ispirare l’iniziativa di rinascita dei siciliani. L’opera fu concepita per essere esposta a Palermo nella mostra personale di Isgrò del 2001 e si pensò che il titolo potesse derivare dalla chiesa gotico-catalana di Santa Maria dello Spasimo dove venne allestita. Il richiamo alla cultura catalana è invece per il maestro residente a Milano un riconoscimento a una civiltà che si distinse in Sicilia per intraprendenza e spirito di iniziativa, ma anche per la sua vocazione colonizzatrice, sia pure portata con le armi della cultura e non degli archibugieri, spinta fino all’istituzione di una Camera reginale a Siracusa, un regno dentro il regno, e arrivata a diffondere il culto della Madonna nera, della Maddalena e degli Ospedalieri.
    Nella ricerca di Isgrò la formica appare per la prima volta proprio in “La rotta dei catalani” e inaugura un “ciclo degli insetti” del quale fanno parte anche le api, altro insetto attivo e industrioso, che già era comparso nel repertorio dell’artista non solo in una collezione privata ma anche in un’opera dello stesso 2000 intitolata “Le api della Torah”. Il formicaio invece tornerà nel 2004 alla Certosa di San Lorenzo di Padula in un’installazione dal titolo “Padrenostro delle formiche”, mentre l’alveare sarà presente nel 2010 nell’opera “Credo e non credo” sotto la specie della cancellatura. “Le mie api come le formiche – dice Isgrò – sono certamente una forma di cancellatura a tutti gli effetti. Io decostruisco per ricostruire, per creare nuova vita, a differenza dell’invalente fenomeno della cancel culture che distrugge soltanto in nome dell’oblio”.
Nuova vita è quella sottesa alla “Rotta dei catalani”, un incentivo all’attivismo rivolto ai siciliani perché sciamino come formiche nel Mediterraneo uscendo dal loro stato di insularità e confinamento per rendersi, come i mercanti catalani, portatori di conoscenza e di saperi e, come le formiche, artefici di strutture organizzate. Di qui la presenza nell’installazione della Gam palermitana del libro aperto, per Isgrò un manuale di istruzione per colonizzare altre terre mettendo fine alla plurisecolare era della sottomissione. Un appello forte lanciato nel 2000 ma giunto solo adesso alle orecchie dei siciliani, come un’eco remota nel tempo o una radiazione di fondo. “Forse perché – dice Isgrò – le formiche hanno bisogno del loro tempo”. (AGI)