Un’alleanza che si rinnova


Nel 2024 entrerà in vigore il nuovo accordo di partenariato tra l’Unione europea e 48 paesi africani, siglato il 15 novembre scorso per rafforzare la capacità di affrontare insieme le sfide globali
Nel 2024 sarà operativo l’accordo di Samoa, che coinvolge due miliardi di persone e rappresenta il quadro giuridico e politico per le relazioni tra l’Unione europea e 79 Paesi, di cui 48 africani, nei prossimi venti anni. È all’interno di questo quadro, che sostituisce lo storico accordo di Cotonou del 2000, che l’Unione intende svolgere un ruolo geopolitico in Africa, ma anche creare le condizioni per un cambiamento del modo in cui i cittadini europei guardano a questo Continente, troppo spesso con stereotipi culturali ed un pessimismo che hanno le loro radici in anni lontani.
A chi si rivolge l’accordo
Per capire meglio l’approccio dell’Unione europea all’Africa bisogna andarsi a leggere le politiche settoriali, che in modo “orizzontale” si occupano, ad esempio, di cambiamento climatico o di gender gap o del confronto sul reperimento e la produzione di materie rare fondamentali, ed incrociarle con quelle riferite ai singoli Stati o regioni, come, per esempio, l’Africa sub-sahariana.
Le politiche settoriali hanno obiettivi, accettati da tutti i Paesi europei, che fungono da base di confronto con gli Stati africani: se restiamo agli esempi precedenti, si tratta della decarbonizzazione su cui l’Europa è abbastanza avanti; oppure della progressiva presenza di sempre più donne nel mondo del lavoro; mentre sulle materie prime strategiche, si tratta di regolare il reperimento dei 34 materiali che l’UE ritiene fondamentali per l’innovazione tra cui le 17 Terre Rare, alcune delle quali sono concentrate in pochi paesi africani; meno di produzione, prevalentemente in mano alla Cina.
Con l’accordo di Samoa l’Unione europea intende svolgere un ruolo geopolitico in Africa, ma anche creare le condizioni per un cambiamento del modo in cui i cittadini europei guardano a questo Continente, troppo spesso con stereotipi culturali ed un pessimismo che hanno le loro radici in anni lontani.
A questo livello “orizzontale” va aggiunto il livello “verticale” dei singoli programmi nazionali o regionali, come quello per l’Africa Subsahariana, attraverso il quale l’Unione Europea punta al contrasto alla povertà (in Africa circa 400 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà) ed all’accesso ai servizi sociali e sanitari di base. I programmi nazionali variano a seconda della situazione dei singoli Stati a cui sono diretti: e dunque, sempre per fare esempi concreti, se in Burkina Faso si punta sui temi della pace e della coesione sociale con un primo impegno di 384 milioni di euro per il triennio 2021-2024 (slittato di due anni per la pandemia); con il Sudafrica, che è la seconda economia più sviluppata del continente africano e membro dei BRICS, l’Unione Europea adotta un approccio “multidimensionale”. Con impegno economico minore che in altri Paesi, 129 milioni di euro, ma con una maggiore attenzione alle partnerships industriali ed al commercio, attraverso la fine dei dazi doganali (eliminati per oltre il 98 percento) ed il rafforzamento di legami che sono in termini economici già considerevoli: nel 2022 i paesi Ue hanno importato dal Sudafrica beni per quasi 30 miliardi di euro e ne hanno esportati per quasi 27 miliardi. Parliamo infatti di un Paese in cui il commercio in beni è aumentato di circa il 120 percento dalla firma dell’Accordo di Cotonou nel 2000; e dove, nonostante ci siano ancora sacche di povertà estrema (nelle grandi urbanizzazioni di Johannesburg e Città del Capo 1 sudafricano su 2 vive sotto la soglia di povertà), gli investimenti stranieri si sono quintuplicati.
Quale ruolo politico per l’Europa?
Se dal punto di vista delle politiche e degli impegni programmatici l’Unione Europea e l’Africa tendono a stare sulla concretezza degli aiuti economici mirati, della cooperazione economica e sociale e degli obiettivi comuni dichiarati, diverso è il discorso dal punto di politico. Da un lato, finita la “guerra fredda” e gli anni turbolenti seguiti alla fine delle colonie, la condizione degli Stati africani è certamente cambiata e presenta le consuete debolezze ma anche novità di rilievo; dall’altro l’Unione europea sa che in Africa si gioca una partita legata allo sviluppo economico e alla disponibilità di materie fondamentali per l’innovazione digitale ed ambientale, una partita in cui scendono in campo anche le grandi potenze mondiali: gli USA, con una inversione di tendenza e una maggiore attenzione con la presidenza Biden rispetto al ventennio precedente; certamente la Russia di Putin che sfodera aiuti economici e molto militari; e in maniera continua da quasi 25 anni la Cina con le sue iniziative economiche multiregionali; infine i paesi arabi e dell’Asia che competono con la Cina nel proporsi come banche di investimento, modelli produttivi e garanti dell’innovazione. In questa competizione geopolitica l’Unione europea sembra a volte fare la figura del “vaso di coccio tra vasi di ferro”, anche a causa di una visione del continente africano legata a stereotipi difficili da superare.
Fuori dagli stereotipi
Ovviamente c’è un’Africa povera, lo sappiamo. Ma c’è anche una crescita economica di piccole e medie imprese negli Stati con una qualche continuità politica. Ed è soprattutto a queste realtà che bisogna guardare, confrontandosi coi Governi, investendo economicamente sui territori, praticando la diplomazia con continuità per garantire una relazione più fruttuosa. Scegliere quali progetti e programmi, comunitari e di cooperazione anche volontaria e privata, hanno funzionato e quali no, può far crescere realtà innovatrici nel campo del digitale in un Continente dove da decenni ciò che passa sullo smartphone funziona a volte meglio che in certe aree interne e remote dell’Europa. Ci vorrà insomma realismo – nel senso di realpolitik – con gli Africani che – va ricordato – non sono una nazione unica ma un Continente con 54 nazioni. E realismo verso noi stessi: se l’Europa vorrà contare nel Continente e se vorremo cogliere questo Accordo come una grande opportunità per favorire innovazione e sviluppo ed un’“Africa rising” stabile e duratura come quella delle economie asiatiche negli ultimi 20 anni.
L’accordo di Samoa
L’Ue ha stretto un ampio partenariato con 79 paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Circa 2 miliardi di persone sono interessate dall’accordo, che mira a rafforzare la capacità dell’Ue e dei paesi ACP di affrontare insieme le sfide globali. Stabilisce principi comuni e copre sei settori prioritari: democrazia e diritti umani, crescita economica e sviluppo sostenibile, cambiamento climatico, sviluppo umano e sociale, pace e sicurezza migrazione e mobilità. L’accordo è stato firmato ufficialmente il 15 novembre 2023 dall’Ue, dai suoi Stati membri e dai paesi ACP a Samoa. La sua applicazione provvisoria decorre dal primo giorno del secondo mese successivo alla firma. Il precedente quadro di partenariato, l’accordo di Cotonou, era stato adottato nel 2000 per sostituire la Convenzione di Lomé del 1975. Inizialmente l’accordo di Cotonou sarebbe dovuto scadere nel febbraio 2020. Le sue disposizioni sono state prorogate fino all’entrata in vigore provvisoria del nuovo accordo di partenariato tra l’Ue e i paesi ACP. L’accordo di Cotonou mirava a ridurre ed eliminare la povertà e a contribuire alla graduale integrazione dei paesi ACP nell’economia mondiale.
di Roberto Di Giovan Paolo
Fonte: https://www.worldenergynext.com/articolo/2024-01-27/alleanza-rinnova-africa-25017244