Una Pasqua in afflizione


di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuenti.com

Auguri di buona Pasqua alle lettrici ed ai lettori.

Risurrezione sinonimo di rinascita, rigenerazione, speranza. Ma questa è ancora una volta una festa in afflizione, per un morbo che da più di un anno non ci lascia, per unamutilazione delle libertà personali avvilita anche dal sentore asprigno dell’inutilità, per un’economia che, salvi i buoni affari di pochi, sta andando a rotoli.

Facciamo la Pasqua con un governo diverso da quello che era in carica a Natale. Il Presidente della Repubblica ha affidato il potere esecutivo ad una personalità, quella di Mario Draghi, il cui prestigio nel mondo è legato alla sua passata attività di manager bancario internazionale e poi di banchiere centrale in Italia e, soprattutto, in Europa.

Una scelta, quella di Mattarella, legata ad un forte appello alla coesione del Paese nel momento della massima emergenza sanitaria, economica e sociale, la più lunga e drammatica dell’intera storia repubblicana.

Appello che le forze politiche hanno fatto la mossa di accogliere. Ma coesione non significa governo di ammucchiata, convergenza parallela nel nome di un salvatore della Patria. Coesione, in questa fase, vuol dire rinunciare alla propaganda, non strumentalizzare a fini di parte le paure, le angosce, le incertezze della cittadinanza.

Dibattito e confronto, anche serrato, delle opinioni sono linfa vitale della democrazia, in ogni momento. Ciò non toglie che il profluvio di chiacchiere sul fondamento scientifico e sull’efficacia delle misure restrittive, sulla sicurezza e sulle modalità di somministrazione dei vaccini  non chiarisce, piuttosto confonde, le idee e acuisce sfiducia e turbamento.

Sarebbe anche segno di coesione, da parte di tutti, politici, giornalisti, medici, uomini di scienza più e meno accreditati, calibrare il linguaggio su una giusta misura non di reticenza, ma di prudenza, di oculatezza, di moderazione.

Non esiste una scienza neutra. Ai tempi della nostra gioventù, Herbert Marcuse teorizzava che nella costruzione della realtà tecnologica non c’è nulla che assomigli ad un ordine scientifico puramente razionale, che il processo della razionalità tecnologica è un processo politico.

Di certo il sapere scientifico è influenzato dalle culture di riferimento, dalla realtà sociale e politica in cui viene elaborato. Ed anche nel campo della medicina non mancano interessi economici e politici che sono frutto del contesto generale.

Tuttavia le considerazioni di questo tenore non rendono più credibili le teorie negazioniste e antiscientifiche né inficiano il valore della ricerca e lo straordinario contributo della scienza medica al miglioramento delle nostre condizioni di vita. Quando siamo malati consultiamo il medico, non un circolo politico né un talk show televisivo.

Chi dal nuovo governo si aspettava un cambiamento radicale nelle misure di contenimento della pandemia e di aiuto economico alle categorie economiche in difficoltà è rimasto deluso, almeno fino a questo momento. In realtà il grosso dei finanziamenti europei del piano Next Generation Eu e la massa delle spese statali in extra-deficit ha già portato e continuerà a portare nei prossimi anni un’ipertrofia del debito pubblico italiano, con un duplice effetto.

Da una parte gli interessi sul debito saranno piombo sulle ali dello sviluppo e, soprattutto, dello stato sociale. Dall’altro lato la necessità di restare solvibili rispetto ai sottoscrittori dei titoli di debito del nostro Stato ci legherà ad un modello di crescita basato sulla concezione turbo-capitalista della competitività, sulla mercificazione del lavoro e di tutti gli aspetti della vita, sulla finanziarizzazione del sistema economico.

Un sistema produttivo diffuso, formato da una miriade di aziende piccole e piccolissime, è destinato rapidamente a scomparire. La crisi nella quale siamo immersi sarà, come accade per le guerre e tutte le grandi crisi cicliche, un mezzo di selezione della specie: solo le realtà economiche più forti o più funzionali alla competizione globale, resteranno a galla.

Stiamo mettendo un’ipoteca gigantesca sulle nuove generazioni ed il sentirsi ripetere che “usciremo migliori dalla pandemia” ha un sapore di beffa. Un peso determinante nel prossimo futuro sarà giocato dall’Europa e la tensione che oggi si concentra sul bilancio in comune tra gli stati europei dovrà, dovrebbe, necessariamente spostarsi anche sulla dimensione democratica del super-stato continentale.

Quando sento parlare di svolta riformista, tutta declinata all’interno del pensiero unico liberista e neo-liberale, mi rendo conto della totale perdita di significato del concetto di “riformismo”, che è un metodo legato alla capacità della politica di guidare l’economia, mentre ormai è del tutto evidente l’inoppugnabile affermazione, nei fatti, dell’esatto contrario.