Stella Vecchio


Milano 1921 – Milano 2011
La foto la ritrae molto elegante, in un completo bianco ravvivato da una grande rosa gialla. Sta parlando e alza la mano destra chiusa a pugno, certo per dare forza a un’idea ma, per noi, è come se rappresentasse la convinzione in una fede. Ed è così, con questa bella immagine di una splendida novantenne, che ci ha salutati Stellina Vecchio Vaia. Con la stessa fierezza noi la immaginiamo, poco più che ventenne, quando aderisce all’appello che Poldo Gasparotto, responsabile militare del Partito d’Azione, rivolge ai milanesi al fine di costituire una Guardia Nazionale, un corpo misto di cittadini e soldati, che si opponga all’occupazione nazista della città. È l’8 Settembre 1943, l’esercito italiano è allo sbando, i tedeschi dilagano, i loro alleati fascisti si apprestano a costituire la Repubblica di Salò. Milano subisce bombardamenti devastanti che, con le case, le fabbriche e gli inermi, colpiscono i simboli stessi della metropoli: il Duomo, la Scala, Il Castello, la Pinacoteca di Brera.
A Porta Ticinese in quei giorni terribili, lo racconta Marta Boneschi nel suo libro Milano l’avventura di una città, irrompe proprio lei, Stellina, che senza tante storie domanda: «dove ci si arruola?» Ecco, è proprio lei, l’indomita signora novantenne della foto, e ha vent’anni. Alla sua domanda, è sempre Marta Boneschi a narrarlo, scoppia il finimondo: «ma come le donne? ma le donne se ne stiano a casa!» In verità, a quei tempi, le donne milanesi non se ne stavano affatto a casa ma sostituivano gli uomini, mandati al fronte o nei campi di concentramento, alla guida dei tram o in fabbrica. Ma Stellina desiderava andare oltre e quel giorno lo gridò: «No, io voglio combattere per la libertà!»
Va detto che, purtroppo, il generoso appello di Gasparotto fu svuotato dall’atteggiamento del Generale Ruggero, Comandante Militare della piazza di Milano – è Roberto Cenati, Presidente ANPI provinciale di Milano, che lo scrive in un suo ricordo di Stellina – che si arrende ai tedeschi dopo essersi dichiarato disponibile a fornire le armi ai patrioti milanesi. Incontrastati i tedeschi avanzano: già nel pomeriggio dell’11 settembre occupano Rogoredo e, con le loro avanguardie, entrano a Porta Romana senza che nessuno li ostacoli. Ma è da allora che la resistenza si organizza.
Stellina era diventata antifascista anni prima. Lei nasce nel 1921. In quello stesso anno il papà Enrico è a Livorno tra i delegati che fondano il Partito Comunista d’Italia.
Enrico è un postino e abita con la famiglia nel villaggio dei postelegrafonici all’inizio di viale Zara. I fascisti lo tengono d’occhio e, nel 1924, – lo racconta bene Renato Sarti – «una mattina all’alba, una trentina di fascisti entrano in casa sua. La mettono sottosopra, cercano armi, e costringono la madre a sollevare la camicia da notte perché non sarebbe la prima volta che le donne nascondono le armi in quei posti lì». Nella penombra dello scantinato qualcosa luccica «abbiamo trovato le armi!» urla trionfante uno di quei ceffi e invece si tratta della protesi d’acciaio del padre, che aveva perso una gamba nella prima guerra mondiale.
Stellina ha meno di quattro anni, scalcia, grida «lassa sta’ el me papà, brut disgrasià!», ma lo portano via ugualmente. Per la bambina è un trauma tremendo. Ha incontrato il volto brutale del fascismo: è il suo imprinting antifascista. Nasce da allora il coraggio e la determinazione della ragazza che si vuole battere per la liberazione, al pari degli uomini. Quelli sono anni bui, è il Ventennio nero.
Chi si oppone al fascismo o è incarcerato o è costretto all’esilio. Ed è appunto in carcere che Antonio Gramsci è dilaniato dall’assillo: «come è potuto accadere?». Sarà solo in Spagna, anni dopo, che il mondo libero delle brigate internazionali si leverà in armi contro il fascismo. Ed è appunto in Spagna che va a combattere l’uomo che poi, per mezzo secolo, sarà il compagno della vita di Stellina.
Intanto lei studia e si diploma maestra all’istituto Carlo Tenca. Poi si iscrive all’università Cattolica, ma rinuncia, perché non vuole giurare di aver ripudiato le idee liberali e il marxismo. Ma coltiva anche passioni, aspirazioni, è attratta dal teatro. Anni dopo confesserà: «mi sarebbe piaciuto fare l’attrice».
Stellina si iscrive al Partito Comunista Italiano prima del 25 luglio 1943. Mesi dopo entra nella Resistenza e, con il nome di battaglia di Lalla, ha l’incarico di tenere i collegamenti, come staffetta partigiana del Comitato Lombardo delle Brigate Garibaldi con la Valsesia, dove operano le formazioni di Moscatelli. «La Valsesia per noi – racconta Stellina nel libro La bicicletta nella resistenza – era un luogo mitico, dove erano forti e organizzati i gruppi partigiani, in gran parte garibaldini… A volte facevo anche 30-40 chilometri in una sola tirata». E sarà in Valsesia che, nel dicembre 1944, Stellina farà da guida per Raffaele Cadorna, l’alto ufficiale designato dal CLNAI a comandare le forze partigiane avendo quale vice Ferruccio Parri e Luigi Longo. Saranno Cino Moscatelli e Pietro Secchia a ricordare questo episodio nel loro libro Il Monte Rosa è sceso a Milano.
Stellina Lalla è un’attivista instancabile, una grande organizzatrice. Nella fase finale della Resistenza entra a far parte dei Gruppi di difesa della donna dei quali era responsabile per Milano Vera Ciceri. A tal riguardo confiderà a Renato Sarti che era stato molto più facile organizzare i gruppi di difesa della donna che non i gruppi combattenti partigiani. «E per quale ragione? perché fra le donne c’era un’intesa amichevole, esiste a già una catena spontanea, in fondo esisteva già questa rete, più nelle donne che negli uomini… La solidarietà è qualcosa di comune a chi è più umiliato, più offeso, più sacrificato e, quindi, è un sentimento innato nelle donne, un sentimento specificatamente femminile». E le donne non hanno più paura, alzano la testa.
Nel libro di Mirella Alloisio e Giuliana Beltrami, Volontarie della libertà, si fa cenno a una manifestazione di un migliaio di donne che, il 18 Aprile 1945, parte da piazza Castello diretta in Prefettura. Giunte dietro il Duomo improvvisano un comizio volante ed è Stellina che, salita su una sedia impagliata, esprime a voce alta (forse avrà levato il pugno come in questa foto) il pensiero di tutte: «vogliamo il pane, il carbone, il ritorno dei nostri uomini dai lager e, soprattutto, vogliamo la pace!».
Ma da Via Rovello escono di corsa le camice nere della Muti e tra questi briganti e quelle donne che si sono rifugiate in un portone c’è un violento scambio verbale. Dicono i fascisti: «i vostri uomini, che mandano avanti voi donne, sono dei vigliacchi!». Le donne rispondono con un duro avvertimento: «vegnaran, sti tranquili che vegnaran!». E solo qualche giorno dopo vennero per davvero e fu la resa dei conti dell’insurrezione. Ma il 24 aprile c’è la tragedia che segna Stellina per tutta la vita. Avviene a Niguarda quando, in bicicletta, lei porta l’ordine dell’insurrezione. Al suo fianco pedala Gina Galeotti Bianchi, la partigiana Lia. Per Lia quello è un gran giorno: lei aveva confidato all’amica Lalla che, forse, i partigiani, quello stesso giorno, con un azione a San Vittore avrebbero liberato suo marito e così, insieme, avrebbero aspettato la nascita del loro bambino. Lia era incinta di sette mesi. Ma una raffica di mitra partita da un camion tedesco uccide Lia. Stellina è sconvolta. Le donne, che nel piccolo circolo di via Hermada stavano confezionando i bracciali tricolore per l’insurrezione, le si stringono attorno, le danno il caffè, ma lei non si dà pace: «perché non io? Io, una ragazza senza impegni, senza legami…e lei aveva il suo bambino». Il giorno dopo è il 25 Aprile della Liberazione. Si gira pagina. Comincia la stagione breve, troppo breve, dell’entusiasmo e del lavoro frenetico della ricostruzione di un paese distrutto in tutti i sensi, al quale va data subito una Costituzione Repubblicana. Ed è il Partito Comunista che, uscito dalla clandestinità, con altri e più di altri si assume questi compiti dopo aver dato il contributo fondamentale alla Resistenza e alla cacciata dei nazifascisti. Stellina si getta a capofitto nel nuovo lavoro e il partito la chiama a operare in via Filodrammatici, dove si era stabilita la Direzione Nazionale Alta Italia del PCI. In quei locali si aggirano intellettuali prestigiosi come Raffaellino De Grada, Antonio Banfi, Gabriele Mucchi. Ed è lì che, Stellina incontra per la prima volta dirigenti leggendari come Luigi Longo e Antonio Roasio, ma anche un giovane comunista sardo: Enrico Berlinguer. È in via Filodrammatici che Stellina conosce Alessandro Vaia. Vaia era il comandante garibaldino della guerra di Spagna, comandante partigiano poi nella lotta di Liberazione delle Marche, Commissario di Guerra del Comando Piazza che, a Milano, coordina l’insurrezione. Vaia sarà Medaglia d’Argento della Resistenza. È lui che, nel suo libro Da galeotto a generale, racconta il suo incontro con Stellina: «tra le commissioni di lavoro della delegazione del PCI, le più importanti erano quelle dell’organizzazione e femminile. Attorno a Estella (Teresa Noce) ruotava un gruppo numeroso di compagne, quasi tutte giovani, tra le quali Marina Sereni, Gisella Floreanini, Mariolina Beltrami, Stella Vecchio… Fu qui che conobbi la mia compagna, che sposai un anno dopo. La chiamavano Stellina, non perché fosse esile come un giunco, ma per non confondere il suo nome con quello di Estella. I suoi pretendenti non erano pochi e alcuni con qualità non facili da superare; tuttavia riuscii a spuntarla e ne rimasi contento».
Il partito apprezza l’impegno, l’entusiasmo e la capacità della giovane compagna Vecchio e la manda a “farsi le ossa” nelle federazioni di Brescia e Cremona, dove le lotte bracciantili sono particolarmente aspre. E’ il suo apprendistato politico, la dura selezione dei “rivoluzionari di professione”. È la passione dedicata a sostenere i diritti delle donne, dei lavoratori, dei deboli che anima Stellina. Nel paese si coltivano speranze. Ma il 18 aprile 1948 le speranze sono spazzate via dalle elezioni politiche dove, la Democrazia Cristiana, dopo una campagna elettorale, in cui si è alimentata la paura del comunismo, sconfigge il Fronte Popolare in cui comunisti e socialisti si erano presentati uniti sotto il simbolo “Stella e Garibaldi”. Il colpo è durissimo. Ma il 1948 è, per Stellina, un anno fondamentale: nasce Franco, il suo primo figlio e, appena diventata mamma, lei entra eletta nel Parlamento Italiano dove, nei banchi, viene fatta sedere tra Luigi Longo e Palmiro Togliatti. Estella, a Roma, la ospita a casa sua e di Longo, perché possa allattare il bambino e non perdere le sedute della Camera. In Parlamento Stellina è protagonista, con Camilla Ravera, Marisa Rodano, Nella Marcellino, Pina Re, di tutte le battaglie per i diritti delle donne e dello scontro durissimo, portato sino all’ostruzionismo, per impedire l’ingresso dell’Italia nel Patto Atlantico. Dal 1945 al 1946 è la prima Segretaria dell’Unione Donne Italiane di Milano, dove dirige la Commissione Femminile che avrà il compito principale di far rispettare dal padronato la legge sulla maternità, “la Legge Noce”. Due anni dopo la nascita di Franco, nasce anche Vladimiro.Ricorda Onorio Rosati, oggi segretario della Camera del Lavoro di Milano, come Stellina nel 1958 venisse poi eletta nella Segreteria della Camera del Lavoro, Vice segretaria, con Italo Busetto Segretario Generale. Ma Rosati aggiunge due cose: che è la prima volta che in quella segreteria entra una donna, e che, da allora, passeranno ben venti anni prima di trovare che un’altra donna venga chiamata nella Segreteria Camerale. Con i primissimi anni Sessanta Stellina passa a dirigere la Fila, l’importante Sindacato dei lavoratori tessili e, per un decennio, lei sarà la grande motivatrice, soprattutto dei quadri femminili che orienta, forma, indirizza.
Nel 1972 ritroviamo Stellina al Comune di Sesto San Giovanni quale Responsabile Ufficio Stampa. Ma la Spagna è entrata nel suo cuore e, nel 1973, con il marito Alessandro, Antonio Roasio, Cesare Grampa e il senatore Viviani lavora alla costituzione del Comitato Spagna Libera, che lancia e sostiene la grande campagna di solidarietà e di aiuti diretti verso le famiglie e i figli dei perseguitati politici del regime franchista. E allora il dittatore Franco era ancora in vita. Nel 1979 partecipa alla fondazione del Comitato Lombardo Italia-Vietnam e, come Segretaria, e poi fino agli ultimi giorni della sua vita, come Presidente, organizza iniziative di solidarietà con quel popolo, in particolare in campo sanitario, ospedaliero e scolastico. Ai primi degli anni Ottanta, con il marito Alessandro, Giuseppe Sacchi, Giovanni e Nori Pesce , contribuisce a far nascere il Centro Culturale Concetto Marchesi di via Spallanzani a Milano, del quale, primo presidente, sarà il professore Alberto Cavallotti, “il medico dei bambini”. Stellina è componente del Consiglio Nazionale dell’Anpi e membro della presidenza onoraria dell’Anpi di Milano, e per l’Anpi, partecipava sempre agli incontri con i giovani nelle scuole. Il Comune di Milano nel 2009 conferisce a Stellina Vecchio Vaia l’Ambrogino d’oro. Infine il 2 novembre del 2012 il Comune di Milano decide di iscrivere il suo nome, con quello del suo compagno partigiano Alessandro Vaia, tra i Grandi di Milano nel Pantheon del Cimitero Monumentale. Uno degli ultimi ricordi di Stellina risale al Settembre 2009, lo rammenta Sandra Scagliotti, oggi Console Onorario della Repubblica Socialista del Vietnam, quando pronunciò un appassionato discorso dinnanzi al presidente vietnamita Nguyen Minh Triet, in visita a Milano. Il Governo Vietnamita ha insignito Stellina della Medaglia all’Ordine dell’Amicizia.

Di Bruno Casati – fonte: https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/stella-vecchio/