Pompeo, Pechino e la chiesa di Matteo Ricci


AGI – La questione può essere vista da due prospettive convergenti, ma diverse. La prima: ma perché a Washington stanno sviluppando una vera e propria ossessione per i rapporti che intercorrono tra il Vaticano e la Cina? La seconda: come mai il Vaticano fa di tutto per andare d’accordo con Pechino? Gli interrogativi non sono da poco. Lo dimostra il fatto che ai tempi dell’Ostpolitik, quando il Cardinal Casaroli viaggiava e mandava i suoi emissari nei paesi comunisti dell’Europa Orientale, gli Stati Uniti non reagivano certo con tanta stizza.

Oggi invece Mike Pompeo usa l’accetta e scrive su Twitter: due anni fa la Santa Sede chiudeva l’accordo con Pechino sperando di aiutare la comunità cattolica; le cose invece sono peggiorate e in caso di rinnovo il Vaticano perderebbe la sua autorevolezza. è quella che ha tutto l’aspetto di essere una risposta in extremis (l’accordo scade dopodomani, anche se ci sarà di fatto un altro mese per confermarlo) all’annuncio del segretario di Stato Pietro Parolin, secondo cui i patti con la Cina per una gestione d’intesa dei rapporti tra il regime e la locale comunità cattolica verranno rinnovati.

All’inizio della settimana gli era stato chiesto quale fosse lo stato dell’arte e il cardinale aveva risposto: “La nostra intenzione è che sia prolungato, penso che si continui a adottarlo ad experimentum come si è fatto in questi due anni, in modo tale da verificare l’utilità”. Attenzione ai particolari, perché è notoriamente in essi che qualcuno ci mette la coda. Il rinnovo avverrebbe magari per altri due anni e avrebbe carattere comunque provvisorio. Si dovrà quindi vedere “l’utilità” del proseguire il dialogo.

Una via di mezzo tra le richieste vaticane (un solo anno di riconferma, poi si vedrà), e quelle cinesi (cinque anni: di fatto ad un solo passo dal sì definitivo). Aggiungeva Parolin: “Mi pare si sia segnata una direzione che vale la pena di continuare e poi si vedrà, rimane aperto pero’ il discorso della collaborazione”. Frase lasciata a metà, quindi importantissima.

Collaborazione: detta così pare che non ve ne sia stata molta, da parte cinese. In effetti negli ultimi mesi sono aumentate le denunce di casi di discriminazione o repressione nei confronti dei 15 milioni di cattolici cinesi.

I termini dell’intesa firmata a Monaco di Baviera nel 2018, si sostiene, sono stati applicati ma solo in alcune zone. In altre, in virtù dell’essere il Partito Comunista articolato in federazioni locali, le cose sono rimaste come prima, se non peggio. Tanto che pochi mesi fa un rapporto della Commissione esteri del Senato degli Stati Uniti (che in materia è autorevole appena un gradino sotto il Dipartimento di Stato) metteva nero su bianco: “La situazione dei diritti umani è peggiorata in Cina nell’ultimo anno e lo stato di diritto è peggiorato ancora”.

“Dopo che il ministero degli Esteri cinese ha firmato un accordo con la Santa Sede nel settembre 2018, spianando la strada all’unificazione delle comunità cattoliche ufficiali e sotterranee”, proseguiva la commissione, “le autorità locali cinesi hanno sottoposto i fedeli in Cina a una persecuzione crescente demolendo chiese, rimuovendo croci e continuando a imprigionare il clero sotterraneo. Le organizzazioni religiose nazionali guidate dal Partito hanno anche pubblicato un piano per ‘sinicizzare’ il cattolicesimo in Cina”.

Gli Stati Uniti stanno vivendo la fase, tradizionalmente molto nervosa, della fine della campagna elettorale per le presidenziali di novembre. La questione della libertà religiosa in Cina serve, indubbiamente, a compattare attorno a Donald Trump due fette dell’elettorato americano, quella di origine cinese (sempre più ricca e influente, anche se non numerosissima) e quella cattolica (molto numerosa, ricca e influente: la principale comunità religiosa nazionale, che punta ad avere un proprio rappresentante nominato alla Corte Suprema dopo la scomparsa di Bader Ginsburg).

Questo però non basta. In un periodo in cui i rapporti con la Russia sono complicati, ma non necessariamente conflittuali, è la Cina il Paese la cui politica estera preoccupa la Casa Bianca. L’espansionismo cinese in Asia è dura realtà da tempo. La situazione di Hong Kong ha mostrato al mondo l’altra faccia della Cina, quella che si scopre quando il rispetto degli accordi internazionali non va nella direzione voluta. La destabilizzazione dell’area è prospettiva concreta, ed ha avuto nel tempo ricaschi sulla politica estera giapponese. La concorrenza commerciale è materia di infiniti accordi trovati, disdetti, annunciati e cancellati.

Cosa c’entra il Vaticano?

Il Vaticano c’entra perché notoriamente il Papa non ha divisioni, ma quando parla o fa qualcosa viene ascoltato e magari anche imitato. Ed esiste una sola entità statale ancora in funzione che possa vantare radici storicamente più antiche della stessa Chiesa, ed è per l’appunto la Cina. I due grandi vecchi della politica internazionale si annusano da tempo, soprattutto da quando a capo della prima siede Bergoglio, che sa bene ci fosse Matteo Ricci.

L’accordo di Monaco è frutto anche della sua personale determinazione. Pechino ha acconsentito volentieri per un fatto semplicissimo: quindici milioni di cattolici sono, in un miliardo e trecento milioni di abitanti, una ristretta minoranza. In compenso la credibilità internazionale, con un placet della Chiesa, cresce a dismisura.

E da parte sua il Vaticano vede nella Cina un colosso risvegliatosi da poco, in cui attuare non solo la libertà religiosa dei propri fedeli ma soprattutto sperimentare la “Chiesa in uscita” di cui ancora stamane Francesco parlava all’Angelus. Una Chiesa dell’Inculturazione, quella che fa propria la cultura altrui per rigenerarla con la propria. Come si vede, la scommessa è di dimensioni titaniche, l’esito per nulla scontato, il risultato molto di là da venire.

L’oggi è piuttosto segnato dalle perplessità interne al regime cinese, e magari anche alla Santa Sede. Il cambiamento di rotta diplomatica è stato talmente radicale che risulta difficile pensare che sia stato assorbito senza contraccolpi in tutti gli uffici ed in tutte le stanze. Tanto più che le violazioni dell’accordo da parte dei cinesi sono numerose e certificate, così come è dura per i figli del Libretto Rosso scendere a patti con forze che sono percepite come straniere e sostanzialmente ostili.

Sinicizzare il cattolicesimo o cattolicizzare la cultura cinese: questa è la scommessa. Qui sono tutte le difficoltà. Su questo fuoco soffia Mike Pompeo, che unisce nei suoi tweet interessi immediati e preoccupazioni strategiche come spesso capita nella grande politica internazionale. Perché dietro questa storia sono in ballo equilibri che toccheranno i rapporti tra le nazioni da oggi a chissà quando, e tutti gli attori del gioco lo sanno bene. Lo sa la Cina, lo sanno li Usa, lo sa anche il Papa. Che forse non a caso stamane, sempre all’Angelus, ha parlato di una Chiesa in uscita e che in uscita deve essere. Anche se esiste il pericolo di fare un incidente, perché meglio incidentata che ammalata di isolamento.

Vedi: Pompeo, Pechino e la chiesa di Matteo Ricci
Fonte: cronaca agi