Per la prima volta dei detenuti entrano in Senato, storia di una 'visione' 


AGI – Per la prima volta dei detenuti entrano in Senato. Domani saranno almeno sette, forse di più: dipende da quanti giudici stanno firmando in queste ore il permesso per farli uscire dalle carceri di Opera, Pavia e Bollate e spostarsi in un’altra regione.

La domanda dello psicologo 25 anni fa 

Sono reclusi speciali, fanno parte del ‘Gruppo della trasgressione’, e di giornate speciali prima di entrare a Palazzo Giustiniani dove si svolge un convegno sulla loro esperienza alla presenza della Ministra Marta Cartabia e del capo del dipartimento penitenziario Carlo Renoldi, ne hanno vissute molte, sempre accompagnati da Angelo Aparo, Juri per tutti, che 25 anni fa da psicologo di San Vittore ha iniziato a porsi una domanda.

Come far incontrare gli autori di reati, anche quelli socialmente più riprovevoli, coi cittadini, con le vittime e i loro familiari, con le istituzioni?

Perché, da quell’incontro, questa è stata ed è la spinta alla sua scommessa, può fiorire quella che la Costituzione chiama ‘rieducazione’, che poi è il riprendersi in mano la libertà e non sciuparla, anche nel tempo trascorso dietro le sbarre. Nella sua iniziativa all’inizio visionaria, poi diventata quasi subito ‘pratica’ come il carcere impone, Aparo è stato incoraggiato e accompagnato da molte delle persone che domani lo affiancheranno nell’incontro promosso dal senatore Franco Mirabelli intitolato ‘Una  mappa per la pena – ridurre la libertà per ampliarla’.

“Un viaggio nel futuro” 

La sua filosofia, spiegata senza retorica anzi con parole crude, durante uno dei tanti incontri in cui reclusi di lungo corso spiegano ai giovani finiti ‘dentro’ come non fare la loro fine: “L’obbiettivo è far provare ai ragazzi detenuti un viaggio nel futuro. Attraverso chi ci è passato entrano in contatto frontale con quello che potranno diventare se non cambieranno rotta, persone che a 50 anni ne hanno passati 30 in carcere. Tante volte, quando porto i detenuti fuori dal carcere, chi li sente parlare si emoziona e pensa che siano dei santi, che non debbano stare dentro. Ma io dico: se sono in carcere è perché sono stati dei coglioni. Le persone però cambiano e io sono convinto che non basti reinserire i detenuti nel lavoro e fargli guadagnare 1200 euro al mese. Bisogna metterli al centro di una progettualità, attraverso le relazioni umane e la maturazione di un senso di responsabilità”. 

La lettura dei nomi delle vittime della mafia  

In Senato ci sarà anche Adriano Sannino, un’era fa killer della camorra, più di 30 anni di carcere e ora uno che porta in giro la sua esperienza. “All’inizio mi guardano un po’ così ma poi quando gli spiego che sono stato uno stronzo e poi come sono cambiato, qual è il punto preciso in cui sono cambiato, mi fanno un sacco di domande. Cerco di essere all’altezza di una grande responsabilità”. E’ di questo gruppo il documentario ‘Lo Strappo’ in cui Aparo, il magistrato Francesco Cajani, il giornalista Carlo Casoli e il criminologo Walter Vannino hanno fatto emergere, intervistando ‘colpevoli’ e vittime, la lacerazione nella vita di chi compie un reato e di chi lo subisce ma anche la possibilità di ricucire e i mille aghi sottili per farlo.

È del gruppo di Aparo anche la prima volta che dei detenuti, saliti sul palco del teatro di Opera, hanno letto i nomi di 940 vittime della mafia e discusso poi coi loro cari, in un confronto denso di emozioni. “Sono stato combattuto fino all’ultimo – aveva detto uno di loro – mi sembrava di sporcare la loro memoria con la mia voce”.

Ogni settimana, chi vuole ‘trasgredire’ può incontrare artisti, studiosi, insegnanti, vittime e familiari, partecipare a tirocini con studenti e alle iniziative che negli anni crescono e si rinnovano.

“Portare la nostra esperienza in Senato è un onore e una gratificazione”, l’emozione di Aparo che ha una richiesta: “Alle istituzioni chiediamo un centro di studi sulla devianza e di prevedere, già subito dopo la prima condanna definitiva, un progetto e un percorso di evoluzione per far sì che le persone detenute diventino cittadini pienamente partecipi della società che hanno offeso”.    

Source: agi