Mercato della difesa in UE: il processo di integrazione


di Alessandro Ermini

Nel mese di marzo la Commissione Europea ha presentato la nuova Strategia per l’Industria della Difesa Europea, denominata EDIP. Di seguito ripercorriamo brevemente la rinascita di questo settore in UE e la sua recente disarticolazione.

Sopravvivenza e rinascita del settore della difesa
La storia dell’industria europea della difesa può essere analizzata a partire dalla II guerra mondiale quando, dopo il 1945, tale settore era stato quasi azzerato. Il riarmo è proceduto in stretta collaborazione con gli USA: prima attraverso la fornitura diretta di armi da parte degli Stati Uniti e poi attraverso la produzione su licenza di sistemi d’arma statunitensi. Non mancarono tuttavia dei primi esempi di cooperazione per la sicurezza militare europea, esterni ed anteriori ai trattati dell’UE. Tra questi, l’Unione dell’Europa Occidentale (UEO), organizzazione precedente al Trattato di Roma del 1957 e risultato dell’evoluzione del Patto di Bruxelles di mutua difesa del 1948. Il successivo Trattato di Parigi del 1954, estese il Patto di Bruxelles a Italia e Germania Ovest e consentì di risolvere il problema del riarmo per quella parte di Germania dopo il fallimento del progetto CED (Comunità Europea di Difesa).

Verso l’inizio degli anni 80’, l’Europa iniziò a ricostruire le proprie capacità di progettazione e produzione trasformandole in un’industria della difesa autoctona. Tuttavia, gli alti costi di questa politica, portarono a proseguire la cooperazione con gli Stati Uniti. Una novità di questi anni fu lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma di origine europea, muovendo parzialmente l’industria da focus transatlantico a uno intra-europeo. Dalla fine della Guerra Fredda, si rinnova il tentativo di realizzare l’integrazione dell’industria della difesa europea, tuttavia i profondi tagli nella domanda di attrezzature militari a seguito del nuovo contesto di sicurezza portarono a un ridimensionamento dell’industria della difesa in tutti i principali paesi produttori di armi, compresi quelli europei. Negli anni tra il 1989-95, la domanda di equipaggiamenti militari in Europa, come indicato dalle statistiche della NATO sulla spesa per equipaggiamenti militari della NATO, è diminuita del 31%. L’attenzione si sposta dallo sviluppo collaborativo degli armamenti agli sforzi per raggiungere l’integrazione industriale.

Le prime iniziative dell’UE per istituire una politica armonizzata di controllo delle esportazioni per il commercio di prodotti sia militari che a duplice uso sono state adottate nel 1991-1992. Per le attrezzature militari, è stato sviluppato un regime europeo di controllo all’interno della Common Foreign and Security Policy (PESC) del trattato di Maastricht. La politica dell’UE sul commercio di prodotti a duplice uso legati alle armi di distruzione di massa, d’altro canto, è stata integrata nella politica commerciale dell’UE. Per quanto riguarda le armi convenzionali, nell’ambito della PESC l’Unione Europea, nel 2009 ha adottato una serie di atti culminati in una posizione comune sulle armi esportazioni, concedendo ai governi nazionali la competenza per l’adozione e l’attuazione della legislazione pertinente.

Dopo la firma del Trattato di Maastricht nel 1992 e, in particolare, a partire dal 1998 con il vertice franco-britannico di Saint-Malo, l’integrazione dell’industria della difesa a livello europeo ha cominciato a portare risultati più significativi, stimolata dal crescente timore della concorrenza da parte di quella statunitense in rapido consolidamento. Ciò è stato facilitato anche dai cambiamenti nella politica governativa sulla privatizzazione dell’industria bellica in Francia, Italia e Spagna. Nel 2004 viene istituita l’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) al fine di coordinare la cooperazione europea in materia di armamenti e migliorare la compatibilità delle capacità militari degli Stati membri. Ma è solo dopo il trattato di Lisbona che l’armonizzazione della nuova Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) porta, nel 2013, alla prima discussione in materia di difesa, individuando le azioni prioritarie per una cooperazione più forte.

Dopo il rafforzamento nella coordinazione con la NATO, a seguito del vertice di Varsavia del 2016, a fine 2017 viene definita la PESCO, una Cooperazione Strutturata Permanente in materia di difesa ed il Consiglio Europeo istituisce l’EDIP, il Programma di Sviluppo Europeo della Difesa, con obiettivo quello di sostenere la competitività e la capacità di innovazione del settore, con una dotazione di bilancio di 500 milioni di euro per il periodo 2019-2020.

Una rinata esigenza
Si giunge così al 2022 quando l’invasione russa dell’Ucraina dà una nuova vita al settore militare europeo. L’11 marzo 2022, i leader dell’UE adottano la dichiarazione di Versailles, dove ribadiscono il loro impegno ad assumersi maggiori responsabilità per la sicurezza dell’UE. Tra gli atti legislativi più rilevanti spiccano:

Per un più rapido riarmo, l’istituzione di uno strumento per il rafforzamento dell’industria europea della difesa mediante appalti comuni (denominato EDIRPA).

Mentre L’UE sostiene logisticamente l’Ucraina tramite l’invio di pacchetti di armamenti e munizioni, nel luglio del 2023, il Consiglio e il Parlamento europeo raggiungono un accordo sulla promozione della produzione di munizioni e missili nell’UE tramite un regolamento a sostegno della produzione di munizioni (ASAP). Il regolamento concordato mobiliterà in via d’urgenza 500 milioni di EUR dal bilancio dell’UE per sostenere il potenziamento delle capacità di fabbricazione ai fini della produzione di munizioni terra-terra e munizioni di artiglieria nonché di missili.

Composizione dell’industria della difesa in UE
La politica dell’UE riguardante i controlli sulle esportazioni di armi è parte integrante della sua più ampia politica sugli armamenti e tiene conto dei recenti sviluppi nel mercato della difesa. Questi controlli sono considerati essenziali per preservare la pace e la sicurezza, ma comportano anche un carico significativo di burocrazia e costi finanziari che ne ostacolano l’esportazione.

Le aziende europee nel settore della difesa, fin dai primi ’90, hanno lamentato la frammentazione delle normative nazionali sui controlli sulle esportazioni. Già nel 1997 la Commissione espresse la sua preoccupazione per questa frammentazione, vista come una minaccia alla sopravvivenza del settore, insieme con la riduzione della spesa militare. Perciò, nel 2000, i sei principali Paesi europei produttori di dispositivi di difesa (Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito) hanno firmato una lettera di intenti con l’obiettivo di migliorare l’integrazione del settore, portando le principali aziende del settore a intraprendere negoziati al di fuori dei quadri istituzionali stabiliti. Sebbene questi sei Paesi coprano il 90% del fatturato totale, rendendo evidente come tale industria, in Europa, sia meno frammentata di quanto si pensasse.

Tuttavia, nonostante i successi commerciali delle grandi aziende nei sei Paesi firmatari, vi sono ancora inefficienze evidenti rispetto al sistema statunitense: ad esempio, mentre in Europa si producono diversi modelli di carri armati leggeri, addestratori aerei, sottomarini convenzionali, siluri e missili tattici, negli Stati Uniti esistono meno modelli, concentrati su tecnologie più sofisticate come i sottomarini nucleari. Questa duplicazione di sforzi suggerisce la necessità di una maggiore collaborazione e razionalizzazione.

Nel 2022, l’industria della difesa europea ha registrato un aumento del fatturato del 10%, raggiungendo i 135 miliardi di euro. Tuttavia, nessuna azienda europea è inclusa nella lista delle dieci più grandi aziende a livello mondiale in termini di fatturato.

Analizzando invece le importazioni di armi, il 55% di esse da parte dei paesi europei tra il 2019-2023 proveniva dagli Stati Uniti, La prima azienda europea nell’industria della difesa è l’italiana Leonardo, che si posiziona all’undicesimo posto mondiale con un fatturato che nel 2022 ha raggiunto i 12,9 miliardi di dollari. Seguono il consorzio franco-tedesco-spagnolo Airbus, con 12 miliardi di profitti. Terza classificata nell’area europea è l’azienda francese Thales, con 9,6 miliardi di dollari. I dati denotano un’elevata concentrazione di mercato, poiché le prime dieci aziende nell’UE costituiscono circa la metà del fatturato totale del settore.
Verso un mercato comune delle armi in UE
La Commissione europea, lo scorso 15 marzo, ha presentato una nuova strategia per l’industria della difesa, incentrata su due principali pilastri: acquisti congiunti di armi ed un nuovo Piano di Investimenti (EDIP) da 1,5 miliardi di euro fino al 2027 per rendere il continente “pronto a reagire” a qualsiasi eventualità.

Sono stati stanziati inoltre 500 milioni di euro per potenziare la produzione industriale dell’UE nel settore della difesa. Questi fondi saranno impiegati per sostenere 31 progetti industriali in 15 paesi.

Con l’assegnazione di questa somma, il contributo dell’UE per la difesa raggiunge i 2 miliardi di euro, considerando anche i fondi provenienti dal Fondo europeo per la difesa (1,2 miliardi), destinato nel 2024 ad aiutare la ricerca e lo sviluppo collaborativi nel settore della difesa e dal programma EDIRPA per gli appalti congiunti (300 milioni). È importante notare come questi siano solo fondi dell’UE, e la Commissione mira ad attrarre ulteriori investimenti sul mercato, per arrivare a circa 1,4 miliardi d’investimento solo per il programma ASAP.

Dopo un tentativo di proporre una strategia all’inizio di questo autunno, basata su una produzione bellica in stile USA, il commissario del mercato interno, Thierry Breton, ha rinviato la proposta al prossimo anno e ha annunciato consultazioni con le parti interessate.

Dopo la crisi delle mascherine durante la pandemia di Covid-19 si iniziò a mappare, tenere aggiornate, e proteggere le catene di approvvigionamento ed anche la produzione della difesa si basa su catene europee e internazionali. E’ dunque soggetta a pericoli fuori dal controllo dei produttori finali e per tal motivo, il sistema utilizzato per l’approvvigionamento e le vendite di presidi medici durante il Covid-19 verrà emulato e riadattato per il mercato delle armi. Onde evitare un venir meno di produzione e forniture durante i periodi di crisi, laddove il funzionamento dei mercati internazionali generalmente si deteriora.

L’attuazione concreta dell’idea sopra esposta ha come obiettivo ultimo, quello di “raggiungere un efficace mercato unico per la difesa”.

Fonte: Orizzonti Politici