Le quattro mosse con cui Donald Trump è diventato il ricco The Donald 


Quattro mosse e salta la Regina. Come negli scacchi, basta saper attendere e ponderare le decisioni. Così un Trump, Fred Il Patriarca, ed un altro, Donald il figliol prodigo, misero insieme un gruzzolo che dire gruzzolo è molto poco, tanto che il primo chiuse gli occhi ricchissimo e felice ed il secondo arrivò alla Casa Bianca.

L’inchiesta “più accurata di tutti i tempi”

Ora ai due toglie la pelle un’inchiesta del New York Times, il quale da due anni a ora certo non ha trasudato simpatia per il Presidente degli Stati Uniti, che al di là della sua lunghezza fornisce dettagli e particolari definiti, con un pizzico di autocompiacimento, “senza precedenti per ampiezza e accuratezza”. Una risposta agli avvocati della Famiglia Trump, che fin da subito hanno tuonato contro le imprecisioni, vere o presunte, del rapporto usando parole da cui però – strano – esula l’espressione più cara a Donald, quella con cui chiude da sempre la bocca ai suoi critici: fake news.

Ecco allora come i Trump, attraverso le generazioni, avrebbero turlupinato un sistema fiscale americano che lo stesso New York Times accusa di aver opposto “ben poca resistenza”.

Piccoli palazzinari crescono

Inizia tutto nel lontano 1962, con Kennedy alla Casa Bianca ed il suo futuro successore in una Prep School (uno di quei licei dove l’attuale aspirante Giudice Supremo Kavanaugh pare facesse bisboccia o anche peggio). Donald ha, per l’esattezza, 16 anni e qualche mese. Il 1 giugno di quell’anno il Patriarca Fred prese un lotto di terra nel Queens e lo trasferì ad una società di nuova creazione. Lui sarebbe stato il presidente, i figli i proprietari. Anche quello di 16 anni, che grazie ad un palazzo di 52 piani prontamente realizzato si trovò, uscendo dall’università, a esser già milionario.  

Seconda mossa: la società che comprava tutto. È il 1992, Fred vede lo scorrere degli anni che si potrebbe trasformare in uno sgocciolìo e mete su un’altra impresa in comune con rami verdi del casato. Si chiama “All County Building Supply and Maintenance”, e come suggerisce il nome logorroico si occupa di forniture per palazzi.

I palazzi sono quelli dei Trump, le forniture tutto ciò che può servire a un condominio: dagli scaldabagni agli ascensori ai detersivi per pulire le scale. Tutto acquisito e fornito dai Trump ai Trump. Ora, scrive il New York Times, il problema è che “la All County servì ad aspirare milioni di dollari dai beni di Fred Trump per trasportarli nelle tasche dei proprietari della azienda, i figli” in un gioco per cui si venne a creare “una frode palmare”, per cui si dichiaravano come comprati dalla All County materiali “già acquistati dai suoi dipendenti” per rendere quelle cifre “donazioni di fatto non soggette a tassazione”.

E, come se non bastasse, “Fred Trump a questo punto usava le fatture dell’azienda per giustificare l’aumento degli affitti agli inquilini”.

A babbo morto

Nel frattempo Trump, forte di un patrimonio no esattamente messo insieme da lui (a differenza dello story telling imposto durante la campagna elettorale), si mette in affari. Ma le cose non gli vanno benissimo, anzi (sempre secondo il quotidiano americano) “con la fine degli anni ’80 del secolo scorso le sue imprese, schiacciate dai debiti, iniziarono a registrare grosse perdite”. Tra queste c’era un casino di Atlantic City, la Las Vegas della Costa Est.

Prosegue la storia che “nel 1990 Trump figlio tentò di far modificare il testamento del padre in uno modo tale che Fred, allarmato e indignato, ebbe di che temere che alla fine il suo impero sarebbe servito per scoprire le perdite degli affari del figlio”.

Come ti smembro l’Impero

Il padre passò a miglior vita nel 1999. Nel frattempo aveva passato ai figli, ma in particolare a Donald per cui pareva provare una predilezione tipo quella che il figlio ha per Ivanka, una pioggia di minidonazioni travestite da regalini: 10.000 euro a Natale, i soldi per la macchina (non certo una Fiat Topolino), stipendi dei dipendenti delle sue ditte pagate dalle sue, soldi per l’affitto degli uffici, soldi per curarne la ristrutturazione. Soldi persino per fare la Trump Tower, spacciata nella vulgata trumpiana come esempio del successo di un uomo pronto a puntare al cielo.

Altro che l’uomo che si è fatto da sé, “l’uomo che grazie al suo carattere e alla sua intraprendenza si è ripreso dopo ogni battuta d’arresto mentre il padre gli faceva da capotifoseria”.

Passano pochi mesi e quell’impero edilizio che sembrava pronto a durare mille anni si scioglie come neve al sole. I figli, senza le consuete fanfare, annunciano quasi alla chetichella che lo hanno liquidato, spartendosene le spoglie nemmeno si trattasse del lascito di un lontano Zio d’America. A Donald tocca una bella fetta: 177 milioni di dollari, dato che aggiornato tenendo conto dell’inflazione oggi sarebbe di 237 milioni. Fin qui niente di male: ognuno della propria eredità fa quel che vuole.

Ma qui il caso è diverso, perché il vero lascito era già stato effettuato sette anni prima, il 22 novembre del 1997, quando Fred era vivo e vegeto, anche se ormai vicino all’ultimo giorno.  Traferì il grosso degli averi agli eredi, e per farlo dovette quantificarne l’entità. Padre e figli pare abbiano scelto le vie spicce: “minore il valore, minori le tasse sulla donazione.  Trump evitarono centinaia di milioni in tasse presentando dichiarazioni che di fatto sminuivano il valore delle loro proprietà, valutate 41,4 milioni, Salvo poi rivenderle nel decennio successivo a 16 volte tanto”.

A conti fatti, quanto pagato al fisco sarebbe solo un decimo del dovuto.

Cosa rischia Trump

Gli avvocati di famiglia contestano nel merito e nel metodo l’inchiesta del New York Times. Il quale, nel controbattere, spiega senza mezzi termini che “si tratta di fatti accertati dai quali nascono nuovi dubbi sulla decisione di Trump di rendere pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi, nonostante la prassi decennale in senso contrario dei suoi predecessori”. E certo, “è difficile che Trump possa essere toccato da inchieste di carattere penale, vista la lontananza dei fatti, ma non esistono limiti temporali per le sanzioni amministrative”. Per un Presidente sarebbe una cosa molto imbarazzante, essere dichiarato ufficialmente evasore fiscale. Se poi si aggiungesse qualche ulteriore rivelazione sul fronte del Russiagate, la cosa potrebbe essere addirittura letale. 

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Fonte: estero agi