LE LEGGI ANTIEBRAICHE IN ITALIA DAL 1938 AL 1945


 

Il Manifesto degli scienziati razzisti, sottoscritto da numerosi scienziati e docenti universitari, sotto l’egida del Ministero della cultura, fissò i punti fondamentali della posizione del fascismo nei confronti della razza, enucleando i concetti che sono stati alla base di un complesso di regi decreti, leggi e circolari che in un brevissimo lasso di tempo hanno tentato di cancellare la comunità ebraica in Italia, in quanto “gli ebrei non appartengono alla razza italiana“.

Tutta la legislazione, accompagnata da una forte campagna di stampa, fu pertanto articolata partendo dalla definizione di “ebreo”, fondata sul legame di sangue coerentemente con un’impostazione biologica dell’appartenenza al popolo e alla Nazione italiana.

Da questa assunzione derivarono in rapida successione una serie di divieti per i cittadini italiani ebrei che andavano dall’impedimento ad insegnare o a frequentare scuole e università, con conseguente allontanamento degli studenti e dei docenti da tutti gli istituti, al divieto di contrarre matrimonio con cittadini non ebrei, di possedere aziende importanti per la difesa nazionale o di possedere aziende, terreni fabbricati che superassero certe dimensioni, di prestare servizio alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, civili e militari, di iscrizione ai vari albi delle libere professioni.

Furono vietate inoltre la macellazione rituale e la pubblicazione della stampa ebraica, fattori caratterizzanti il vivere secondo i dettami della religione ebraica. L’applicazione delle leggi fu capillare grazie anche alla meticolosità di un’intera catena burocratica.