L’artigianato della pace, secondo Bergoglio


Il ritorno della “pace” tra Natale e Capodanno è rituale: “pace in terra agli uomini di buona volontà!”. Nella tradizione cristiana, la nascita di Cristo apre una speranza di redenzione collettiva e, conseguentemente, di fratellanza tra gli esseri umani. Il messaggio ritorna ogni anno, ma non è mai stancamente rituale. Perché la storia degli uomini non è mai stanca. Non mancano mai né nuove lacrime né nuovo sangue. Perciò non è solo un omaggio alla tradizione il messaggio che Papa Francesco ha reso noto l’8 dicembre per la cinquantacinquesima giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2022. Non ha ricevuto molta attenzione dalla stampa, quasi del tutto ossessivamente piegata sulla vicenda del Quirinale, comunque scarsamente attenta a ciò che si muove oltre i confini dell’Italia.

D’altronde, “i realisti” di ogni tempo si chiedono ogni volta di quante legioni disponga il Papa, nel cozzo delle potenze della Terra e degli imperi del  mondo. E neppure grandi attenzioni dal mondo cattolico. Una parte del quale è infastidita del fatto che il Papa perda tanto tempo a parlare di globalizzazione e di clima, quando i cristiani stanno svanendo in Europa, sono sradicati sanguinosamente nell’intero Medioriente e sono perseguitati fin nell’estrema Cina, visto che il Partito comunista cinese considera la celebrazione del Natale un attacco alla civiltà e alla cultura dei Cinesi. I quali, pertanto, sono vivamente raccomandati di denunciare alle Autorità chiunque venga sorpreso a festeggiare la nascita di Cristo. Dunque, il Papa farebbe meglio a occuparsi dell’identità e dell’esistenza del popolo cristiano.

Sì, è vero. Papa Francesco non parla a nome dei cristiani, eppure ne avrebbe ben donde. Parla a nome degli uomini, non di una parte, quella cristiana, ma di tutti. Ma questo è considerato da qualche cattolico una tiepidezza di fede o, persino, un tradimento. Gli spiritualisti di ogni religione sono occupati a garantirsi la pace interiore nelle loro catacombe riscaldate, non certo dal bue e dall’asinello. Cupo, a questo proposito, il silenzio della “chiesa di stato” buddista birmana al cospetto dei massacri quotidiani del regime. I fondamentalisti islamici e indù sono impegnati a trasformare la propria fede in potenza socio-politica contro ogni altra fede. Quelli europei sono ormai vedove in gramaglie della “cristianità” perduta. I carismatici difendono la propria “città sulla collina”, non guardano giù verso la pianura.

C’è qualcuno, tra costoro, che parla del destino dell’uomo in quanto uomo, che il grandioso e incontrollabile processo della globalizzazione mette a rischio nella tempesta dello sviluppo tecnologico, sotto la irreale trasparenza universale dell’Infosfera?

C’è qualcuno che si mette dal punto di vista della finitudine umana di ciascuno di noi di fronte alle forze storiche che si accumulano come nembi di futuri uragani?
Scrive Papa Francesco: “Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace”.

Conati populistici del papa argentino? Per verificarlo basterà leggersi il “World Inequality Report 2022”, che mostra il lato d’ombra della globalizzazione e delle sue crescenti diseguaglianze.

Il Messaggio non propone palingenesi, nessuna “terza età dello Spirito”.
Suggerisce un metodo e tre vie per non inciampare nelle “macerie della storia”. Quanto al metodo, il testo distingue tra una “architettura della pace”, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e un “artigianato della pace”, che coinvolge ognuno di noi in prima persona, perché a nostra misura.
Quanto alle vie, ne propone tre: il dialogo tra le generazioni, l’educazione come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo, il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana. Queste tre vie portano al “patto sociale”, “senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente”. Il patto sociale è la base “artigianale” che sta a fondamento dell’architettura della pace. E’ ciò che ciascuno può costruire per partecipare e per influire sulla storia del mondo. I conflitti moderni tra gli Stati-nazione non sono mai nati, perché minoranze oscure e potenti hanno piegato le masse a loro insaputa. Le guerre del ‘900 sono nate dal cuore delle società e delle masse, e cioè dal cuore degli individui.

Le tre vie di Bergoglio lambiscono i palazzi dell’ONU, della Nato, dell’AUKUS, della  One Belt One Road cinese, della geopolitica, ma si propongono di attraversare le società nazionali e ciascuna persona.

Le tre vie hanno un punto di intersezione: quella della condizione e del destino delle giovani generazioni. Papa Francesco coglie e collega significativamente all’”artigianato della pace” una questione drammatica: quella della frattura generazionale, che si é aperta nelle società opulente dell’Occidente e che si sta allungando sul pianeta intero. E’ una frattura demografica e spirituale. Demografica, come da qualche anno denunciano l’ISTAT e gli Organismi internazionali: i giovani stanno diventando una risorsa scarsa, le società invecchiano rapidamente. Spirituale, perché i giovani non vedono più aprirsi davanti nessun futuro e nessuno scopo. Hanno paura ad immergersi nel fiume della storia e nelle tre dimensioni del tempo. Il dialogo educativo tra le generazioni serve a mettere nelle mani di quelle giovani l’intero della storia: è, appunto, l’educazione a fornire “la grammatica del dialogo tra le generazioni “.

Passare il testimone è per le generazioni anziane un modo per continuare a fare storia e per i giovani un modo per incominciare a farla. Senza il tessuto solidale tra le generazioni, il tempo storico si inceppa, la storia decade, vittima del fatale secondo principio della termodinamica.

Con ciò Papa Francesco invita implicitamente a superare la retorica dell’educazione dei giovani alla pace. Per educare i giovani alla pace occorre, primariamente, educarli all’esercizio della libertà e della responsabilità. E’ un invito implicito alle generazioni adulte all’esercizio dell’autorità, senza il quale il processo educativo non si innesca.
Se nella Populorum progressio (26 marzo del 1967) di Paolo VI “lo sviluppo integrale” era il nuovo nome della pace, in questo messaggio dell’8 dicembre 2021 il nome nuovo pare essere quello dell’educazione integrale.
Retorica? L’alternativa a tutto ciò è già visibile: è il rischio che la geopolitica precipiti in una Terza guerra mondiale.

 

Editoriale da santalessandro.org, sabato 25 dicembre 2021