L’ARRESTO DI GIORDANO BRUNO


Nell’estate del 1591 Bruno aveva ricevuto due lettere dal nobile veneto Giovanni Mocenigo, con l’invito a recarsi a Venezia perché gli insegnasse l’arte della memoria. Da Venezia, città in cui era probabilmente giunto alla fine di agosto, si reca a Padova, dove nell’autunno tiene delle lezioni di natura geometrico matematica agli studenti tedeschi che frequentavano la locale università, e il cui testo sarà pubblicato con i titoli di Praelectiones geometricae e Ars deformationum solo nel 1964.

Nel marzo del 1592 Bruno si trasferisce definitivamente nella dimora veneziana di Giovanni Mocenigo, che durante la notte del 22 maggio lo fa rinchiudere in una stanza della casa e il giorno successivo lo denuncia all’Inquisizione per eresia. La lettera di denuncia di Mocenigo costituisce il documento chiave di tutta la vicenda processuale di Bruno, in quanto comprende già molti dei capi di accusa che saranno poi elencati nella sentenza conclusiva di condanna, come la negazione del dogma della presenza nell’Eucarestia del corpo e del sangue di Cristo, della verginità di Maria e della Trinità, la credenza nella trasmigrazione delle anime, la pratica della magia. A questa prima lettera il nobile veneziano ne farà seguire altre due, in cui si aggiungevano a carico di Bruno altre pesanti accuse, come quella di aver soggiornato in paesi di eretici «vivendo alla loro guisa».
Imprigionato nelle carceri di San Domenico di Castello, il 26 maggio 1592 il filosofo subisce il primo interrogatorio, a cui ne seguiranno altri sei, l’ultimo dei quali si svolge il 30 luglio. Già nell’agosto giungono le prime richieste di estradizione da parte del tribunale dell’Inquisizione romana, che vengono però inizialmente respinte. A seguito di richieste sempre più pressanti il 7 gennaio 1593 il Senato veneziano approva l’estradizione di Bruno a Roma.

 

Fonte: internetculturale.it