La guerra sull'ora di religione a scuola in Turchia


AGI – Scoppia in Turchia la guerra dell’ora di religione. Islamica. Quella che la politica identitaria di Tayyp Repec Erdogan segue, in tutti i suoi risvolti culturali e geostrategici, da molti anni e che adesso assume la forma dell’ennesimo confronto con l’Unione Europea. Ma, strano a dirsi, questa volta è Bruxelles che segna un punto, e con essa lo segna la società turca che è meno sensibile ai richiami sovranisti e magari più a quelli dell’Occidente.

Nei giorni scorsi la Corte costituzionale di Ankara, riferisce Asia News, ha riconosciuto due precedenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che criticava la Turchia sui principi e i contenuti dell’istruzione religiosa obbligatoria ai minori. I supremi giudici hanno stabilito che forzare l’educazione a una fede – obbligando a seguirne le lezioni – bambini e giovani contro la volontà dei genitori è una palese violazione dei diritti.

Si badi, scavalcando quindi i genitori nella loro potestà educativa. Tutto desso sta a vedere come reagirà il governo, il cui assenso ad una pronuncia di questo tipo significherebbe un passo in direzione dell’antica politica di occidentalizzazione. Difficile che lo faccia.

La decisione della Corte costituzionale è frutto di una lunga battaglia legale iniziata oltre 10 anni fa da Huseyin El, che ha lottato a lungo per evitare che la figlia frequentasse lezioni di religione musulmana. La faccenda è più delicata del previsto, perché non siamo di fronte ad una famiglia laica che non vuol sentir parlare di dimensione trascendentale della vita: al contrario.

Eppure il preside dell’istituto ha insistito affinché Nazli Sirin El, all’epoca studentessa di quarto grado, seguisse i corsi perché solo cittadini cristiani ed ebraici potevano beneficiare dell’esenzione. Sì, la la famiglia della ragazza è musulmana, ma non vuole la lezione di religione sunnita: segue infatti l’alevismo, una delle molte sette dell’islam che – fra gli altri – celebra i cemevi, i riti nelle case assembleari, più che nelle moschee.

Un problema che potrebbe facilmente estendersi ad altre famiglie, altre realtà: la Turchia, soprattutto nella sua parte interna, ospita infatti comunità musulmane lontane dai precetti della setta sunnita che, qui, come in quasi tutto il mondo islamico, è largamente maggioritaria, ed è quella con cui si identifica in buona parte anche il nazionalismo turco.

L’avvocato Esra Basbakkal, legale della famiglia, spiega che “costringere un genitore a rivelare o documentare la sua fede è una violazione dell’art. 24 della Costituzione” secondo cui “nessuno può essere costretto a rivelare credenze e convinzioni religiose”.

Già il tribunale di primo grado, 13 anni fa, le dette ragione in base alle leggi nazionali e alle convenzioni internazionali. Ma il ministero dell’Istruzione si è appellato al Consiglio di Stato, che ha ribaltato la decisione. Nel 2014 la controversia è arrivata sul tavolo della Corte costituzionale: a distanza di otto anni, il verdetto secondo cui l’obbligo di frequenza alle lezioni di fede musulmana sono una violazione dei diritti umani e della famiglia di scegliere il percorso educativo dei figli.

“Una decisione troppo a lungo rimandata, ma che va nella giusta direzione”, commenta adesso Orhan Kemal Cengiz, avvocato pro diritti umani che ha seguito nel tempo la vicenda della famiglia El e altre due storie simili. “I tribunali locali – aggiunge – spesso ignorano le decisioni della Corte europea, ma ora devono prestare attenzione a quelle della Corte costituzionale”.

Diversi i commenti della fazione radicale e conservatrice; critiche giungono anche da esponenti del partito di governo sebbene le più alte cariche, presidente compreso, per ora non hanno commentato. Il quotidiano ultra-conservatore Yeni Akit definisce uno “scandalo” la scelta dei giudici costituzionali. Mehmet Akif Yilmaz, membro del Partito di Giustizia e sviluppo (Akp) e membro della Commissione per l’istruzione, definisce un “tradimento” stabilire che lezioni di religione “in questa terra benedetta dall’islam” possano essere giudicate una “violazione ai diritti umani. La nostra gente – aggiunge – non permetterà un simile tradimento” dei valori. Le classi di religione erano facoltative fino al golpe militare del 1980, ricorda ancora Asia News, il governo dei generali guidato da Kenan Evren ha stabilito l’obbligo della frequenza, con lo scopo di controllarne l’insegnamento ed evitare derive radicali o fanatiche inserendolo nella Costituzione del 1982. In realtà, le classi hanno per lo più alimentato un islam sunnita che ha esasperato il disagio di molti studenti e genitori laici, che chiedevano piu’ storia delle religioni e meno precetti islamici.

Una escalation che si è andata rafforzando con l’ascesa al potere dell’Akp nel 2002 e l’introduzione di un nuovo sistema scolastico nel 2012 con altri corsi “opzionali”: Corano, Vita del profeta Maometto e Conoscenza religiosa di base. Nella maggior parte dei casi sono diventati obbligatori, perché non vi erano alternative. Per l’avvocato Basbakkal, la scelta migliore sarebbe quella di renderle. A settembre, Diyanet (il ministero per gli Affari religiosi) ha annunciato l’intenzione di introdurre corsi obbligatori di Corano ai bambini in età prescolare e sono allo studio corsi pilota in diverse città.

Source: agiestero