Iran, un’altra notte di sangue per Mahsa Amini, bloccato accesso a Instagram e Whatsapp


“No al velo, no al turbante, sì alla libertà e all’uguaglianza!”

Ancora una notte di accese proteste in Iran per chiedere giustizia per Mahsa Amini, la ventiduenne morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale di Teheran per aver indossato il velo islamico in modo scorretto.

Mentre le strade della capitale si riempiono di manifestanti, le autorità hanno deciso di limitare l’accesso a Instagram e WhatsApp. Lo rende noto NetBlocks sottolineando che si tratta della maggiore restrizione ai social media a livello nazionale dal 2019, quando l’accesso a Internet è stato limitato nel mezzo delle proteste per il carburante.

Ad oggi sarebbero nove le vittime della repressione, tra loro, scrive Bbc, c’è anche un ragazzo di 16 anni, ucciso quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti, ma il numero reale delle vittime potrebbe essere più alto.

NetBlocks ha segnalato un’interruzione quasi totale del servizio Internet in alcune zone della provincia del Kurdistan nell’Iran occidentale, dove era nata Amini, e nella capitale Teheran, dove la giovane è stata arrestata, mentre era in viaggio con la famiglia.  Sotto l’hastag #IranProtest e #IranRevolution molti i video e le foto che documentano la repressione dall’arresto di Masha e quelli delle rivolte delle donne che bruciano il velo e si tagliano i capelli. Tra loro ci sono anche molti uomini. Anche in europa, a Berlino, alcune donne si sono tagliate i capelli in segno di solidarietà per le iraniane.

L’interruzione non impedisce ad alcune immagini, in cui il sangue purtroppo scorre, di circolare comunque e di fare il giro del mondo sui social. Segno che la protesta dice molto del clima in cui versa il paese islamico sul piano dei diritti civili, e non solo in riferimento alle donne.

Dai filmati che circolano sui social media si vedono agenti della polizia iraniana sparare contro donne e ragazzi. I disordini si sono diffusi in più di 20 grandi città, la capitale Teheran, spingendosi fino alla città di Mashhad, città natale del leader supremo Khamenei: le donne sventolano il velo in aria o bruciano gli hijab al grido di:  “No al velo, no al turbante, sì alla libertà e all’uguaglianza!”

Le notizie che arrivano dal paese a guida islamica preoccupano la comunità internazionale. Gli Usa sono “al fianco delle coraggiose donne iraniane”, ha detto Joe Biden intervenendo all’Assemblea Generale dell’Onu ieri, mentre il presidente iraniano Ebrahim Raisi, sempre a Palazzo di vetro, ha accusato l’Occidente di avere “doppi standard” sui diritti, in particolare quelli delle donne. “L’Iran rigetta il doppio standard di alcuni governi – ha aggiunto – i diritti umani appartengono a tutti ma purtroppo ci sono casi come le tribù di nativi in Canada, i diritti dei palestinesi, i migranti che cercano libertà ma i loro bambini finiscono nelle gabbie, gli afroamericani uccisi”.

Amnesty International ha chiesto ai leader del mondo, riuniti in questi giorni all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, di appoggiare le richieste per la costituzione di un meccanismo internazionale e indipendente d’inchiesta che affronti il clima d’impunità dominante in Iran.

Amnesty ha raccolto prove sull’uso illegale della forza da parte delle forze di sicurezza iraniane, che hanno impiegato pallini da caccia e di metallo di metallo, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e manganelli per disperdere le proteste.