Grace Murray Hoppe


Grace Murray Hopper, la “grande signora del software” che corresse il primo bug della storia

Esiste una foto scattata negli anni ’40 che riunisce tutto lo staff del laboratorio di calcolo dell’Università di Harvard dove gli scienziati avevano a che fare con i primi computer della storia. Nello scatto ci sono diversi uomini e una donna, seduta al centro con lo sguardo per nulla intimorito. Anzi, Grace Murray Hopper sembra l’unica a suo agio tra tutti i colleghi. D’altronde quello era il suo mondo e non a caso la chiamavano “la grande signora del software“.

Grace Murray Hopper ha attraversato un secolo di enormi cambiamenti, contribuendo in maniera attiva alla diffusione dell’informatica. Perfino “insegnando” al calcolatore a parlare la nostra lingua e inventando il COBOL che, ancora oggi, è uno dei linguaggi di programmazione più utilizzati al mondo.  Sempre lei è la protagonista del primo “debug” della storia.

A tu per tu con “la bestia”

La curiosità era la caratteristica vincente di Grace sin da bambina. Nel libro Looking Back: Grace Murray Hopper’s Younger Years, si legge che nel 1913, quando non aveva ancora dieci anni, la Hopper prese “in prestito” una sveglia dalla camera dei suoi genitori e la fece in mille pezzi per capire come potesse funzionare. Studiò con meraviglia gli ingranaggi e, quando fu il momento di rimetterla insieme fece un pasticcio, senza riuscire a ricomporla. Nei giorni successivi i suoi genitori ne comprarono sette e lei le smontò tutte, fino a che non imparò a rimetterle insieme e farle funzionare nuovamente.

I suoi genitori avevano capito il potenziale della bambina e decisero di assecondarne i desideri. Anche la mamma era appassionata di logica e matematica, ma non aveva potuto proseguire gli studi perché alle donne non era concesso di specializzarsi. Così, incoraggiando la figlia, nel 1934 Grace Murray Hopper fu tra le prime donne a ottenere un Ph.D in matematica a Yale.

Una decina di anni più tardi, Grace Murray Hopper comparve al centro di quello scatto del Bureau of Ships Computation Project ad Harvard. Si trattava di una divisione che collaborava a stretto contatto con la Marina, la Hopper ci era entrata con il grado di tenente e la mansione di programmatrice allo sviluppo del MARK I, uno dei primi calcolatori della storia.

Come descrivere il MARK I con la sua spaventosa mole di 15,5 metri di lunghezza e quasi 3 di larghezza? La Hopper si riferiva alla macchina chiamandola “la bestia”. Il superiore della Hopper, il dottor Aiken, era colui che l’aveva inventata. Secondo le sue parole, il MARK I era il sogno di ogni pigro: uno strumento in grado di risolvere automaticamente calcoli che avrebbero impegnato la mente di un essere umano per ore e ore.

Il primo “bug” della storia

Fu la stessa Hopper a scrivere il manuale di funzionamento di MARK I. Il suo testo non si limitava a essere un noioso tomo d’istruzioni, ma diveniva quasi letteratura grazie alla prosa della donna, che in ogni capitolo presentava con colte citazioni le figure che avevano contribuito al mondo dell’informatica. Da Pascal fino a Charles Babbage e poi la figura con cui si era più spesso sentita in sintonia: Ada Lovelace, la figlia abbandonata di Lord Byron che aveva scritto quello che viene considerato il primo software della storia.

L’affinità con la Lovelace era presto spiegata: anche la Murray era una donna in un mondo totalmente maschile. Ruolo che comunque non la intimorì mai; anzi, la spinse a prendere il tutto come una vera e propria sfida, da affrontare servendosi anche della sua tagliente ironia. Durante uno dei convegni in cui fu invitata come relatrice, trovandosi di fronte a una platea di soli uomini decisamente scettici delle sue competenze, esordì dicendo: “Bene, vedo che qui non ci sono molte donne, ma non preoccupatevi, andrò lentamente e spero possiate seguirmi”.

Fu in uno dei lunghi pomeriggi di lavoro su MARK I che la Hopper e il suo team dovettero risolvere un problema imprevisto, destinato a plasmare il dizionario informatico per sempre. D’un tratto l’enorme calcolatore si bloccò senza preavviso. Si pensò dapprima che il troppo lavoro lo avesse fuso, e poi la Hopper si rese conto di un’anomalia ancora più singolare: una falena era entrata dalla finestra dell’ufficio e si era infilata in uno dei relè della macchina. Si alzò e con un paio di pinzette rimosse l’insetto, “bug” in inglese. La macchina ricominciò a girare e tutti tirarono un sospiro di sollievo. Quella storia divenne una leggenda al punto che la Hopper decise di tenere la falena, di conservarla all’interno del suo diario degli appunti. Nasceva così il termine “debugging” per indicare le operazioni che risolvono i problemi di un software o di un hardware. E, seppur indirettamente, era stata Grace Murray Hopper a inventarlo.

Un computer che parla in inglese

Sicuramente l’intuizione più geniale della Hopper arrivò qualche anno più tardi, quando i primi calcolatori si diffusero nell’ambiente commerciale. All’inizio degli anni ‘50 Grace fu chiamata per collaborare sul progetto UNIVAC, il primo modello di calcolatore che sarebbe stato messo a servizio di aziende e ambienti commerciali. Al tempo non esisteva distinzione tra le figure professionali che si occupavano di hardware e di software: chi aveva a che fare con questi macchinari doveva essere competente in entrambe i campi, in quanto i calcolatori comprendevano solo il complicatissimo linguaggio macchina. Così alla Hopper venne un’idea: e se i computer imparassero a parlare la nostra lingua?

Rispetto alle possibilità di diffusione delle macchine, il suo ragionamento non faceva una piega. Meglio insegnare ai pochi computer che c’erano in giro a “parlare” inglese piuttosto che spiegare il linguaggio macchina a milioni di persone. Così ideò il concetto di compilatore, un software che traduceva nella lingua dei calcolatori le istruzioni che gli venivano fornite in inglese. Perfezionando questa sua intuizione, Grace Hopper realizzerà il Flow-Matic, un compilatore così semplice da usare che fu commercializzato insieme a UNIVAC I.

Il suo fu un successo straordinario: i computer finalmente si avvicinavano agli esseri umani e riconoscevano istruzioni immesse in un linguaggio che somigliava in tutto e per tutto a quello naturale. Sulla base del Flow-Matic, nel 1959 la Hopper e il suo team svilupparono il COBOL, linguaggio di programmazione di altissimo livello, ancora oggi utilizzato specialmente in ambito finanziario e aziendale. Ad esempio, molti dei software scritti per gestire i bancomat sono tuttora realizzati con il COBOL. A più di sessant’anni dalla sua comparsa, si tratta di uno dei linguaggi di programmazione più longevi della storia.

Nonostante gli ammirevoli traguardi raggiunti, nel 1973 creò confusione il premio conferitole in quanto “Distinguished Fellow of the British Computer Society”. Per prima cosa perché non era un inglese a vincere, bensì la prima americana da quando era stato istituito. E poi, ovviamente, perché era una donna. Ma Grace Murray Hopper se l’era meritato per il suo inestimabile supporto al mondo informatico, tanto che per vedere un’altra donna insignita dello stesso riconoscimento bisognerà aspettare il 2016, quarantatré anni. Ancora una volta Grace aveva ribaltato i canoni. Come amava dire: “La più pericolosa tra le frasi mai pronunciate dall’essere umano è: ‘abbiamo sempre fatto in questo modo’. Il mio obiettivo è dimostrare il contrario”. E così è stato, per 86 anni.

 

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