Ecco come cambieranno i lavori "di prossimità"


​Sono 6 milioni 145 mila i lavoratori di ‘prossimità’ in Italia – camerieri, commessi, operatori sanitari e infermieri, parrucchieri ed estetiste – che per svolgere le loro mansioni necessitano del contatto diretto, in alcuni casi fisico, con il pubblico. Si tratta di una quota importante dell’occupazione italiana (il 26,5%) concentrata maggiormente nel Nord Italia (48,7%) che, man mano che il lockdown inizierà ​ad alleggerirsi, si troverà a modificare il proprio stile di lavoro. 

È la fotografia scattata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell’indagine ‘Come cambieranno le professioni di prossimità’ contenente una classifica dei lavoratori maggiormente esposti al contagio e più bisognosi di tutele per la Fase 2. “​Non solo mascherine e guanti, obbligatori per tutti – sottolinea la ricerca – ma anche dispositivi specifici di protezione e una riorganizzazione dell’attività per garantire quel distanziamento sociale destinato ad accompagnarci ancora per i prossimi mesi”. 

Commercianti e addetti alle vendite 

Il primo grande gruppo è rappresentato da commercianti e addetti alle vendite – si legge nell’analisi – ovvero quanti lavorano a diverso titolo nel commercio, con un rapporto a diretto contatto con la propria clientela.

Si tratta di 1 milione 723 mila lavoratori (il 28% delle professioni “di prossimità”), molti dei quali tuttavia non si troveranno impreparate all’apertura avendo già avuto modo di adattarsi nella fase del lockdown alle nuove regole, che tuttavia potrebbero diventare più stringenti: protezioni individuali e contingentamento degli accessi diventeranno la regola, ma al tempo stesso vi sarà un impegno maggiore anche nel supportare la clientela nel processo d’acquisto per evitare possibili contaminazioni tramite merci.

Un universo molto vario che va dall’alimentare, che non ha mai smesso di lavorare, salvo rare eccezioni, all’abbigliamento, uno dei settori più penalizzati dalle chiusure. Per molti è ipotizzabile un’organizzazione del lavoro che veda ampliare gli orari di apertura dei negozi, per consentire la gestione dei flussi.

Inevitabile sarà, soprattutto per alcuni segmenti, un investimento nelle strategie commerciali: più vendita online, su piattaforme o strumenti dedicati, consegne a domicilio, ma anche campagne promozionali ad hoc, per smaltire magari gli acquisti effettuati per la stagione primaverile prima che termini. 

Esercenti e addetti alle attività di ristorazione 

Tra le professioni in causa vi sono poi gli esercenti e gli addetti alle attività di ristorazione (1 milione 154 mila pari al 18,8% delle professioni “di prossimità”): per molti il rientro al lavoro sarà traumatico, in quanto implicherà, oltre all’adozione delle misure di protezione individuale, una vera e propria riorganizzazione della modalità di lavoro.

A partire dagli spazi, che dovranno inevitabilmente essere riprogettati per garantire adeguata distanza (tra tavoli e persone), fino ai tempi di lavoro, laddove sarà ipotizzabile una estensione del modello del doppio turno (sia a cena che a pranzo) già diffuso tra i locali di maggiore successo.

La riapertura, in alcuni casi, sarà accompagnata da inevitabili esuberi di organico, non solo per effetto del blocco delle attività a partire da marzo, ma anche per la contrazione del giro d’affari che caratterizzerà i prossimi mesi.

Ma l’animo imprenditoriale che ha già portato tanti ristoratori a riorganizzare con il delivery la propria attività, potrebbe trarre in realtà dall’attuale crisi anche occasione per riorganizzazione e crescita dell’attività, con lo sviluppo di un servizio a domicilio o da asporto, già largamente sperimentato in fase di lockdown. 

Gli operatori sanitari, dalla corsia a studi e laboratori

Anche le professioni sanitarie dovranno largamente rivedere, come già stanno facendo quelle in prima linea nella lotta al virus, procedure e tecniche di lavoro, per garantire quanto più possibile la sicurezza propria e dei pazienti.

Sono 976 mila gli addetti tra tecnici (radiologi, fisioterapisti, etc) e figure qualificate nei servizi sanitari e assistenziali (infermieri, operatori sanitari e così via), a cui si aggiungono 302 mila medici: oltre alla fornitura dei necessari dispositivi di sicurezza, e ad un’attenzione maggiore all’igiene di ambienti e strumenti di lavoro, sarebbe auspicabile anche un rafforzamento dell’orientamento alla sicurezza e soprattutto alla prevenzione, per garantire la salute personale e dei pazienti.

Centrale sarà per chi lavora nelle strutture, e non a domicilio, la revisione dell’organizzazione e soprattutto della gestione dell’utenza, al fine di garantire, anche attraverso una più funzionale organizzazione degli spazi e dei percorsi, la sicurezza del personale sanitario e dell’utenza che, come visto, ha rappresentato una delle principali carenze anche nella gestione dell’attuale fase emergenziale. 

Parrucchieri, barbieri ed estetisti

Al quarto posto (con 776 mila occupati, pari al 12,6% del totale delle professioni in argomento) ci sono poi tutti quei lavori che riguardano la fornitura di servizi personali: parrucchieri e barbieri, estetisti, massaggiatori, logopedisti, etc. Sono le professioni a maggiore contatto fisico con il cliente, pur non avendo come quelle sanitarie, quel bagaglio formativo di tipo “sanitario” che sarebbe stato molto utile in questo momento. Anche per loro la ripresa significherà una riorganizzazione a tutto tondo, e non sempre facile, delle attività.

A partire dal mestiere vero e proprio (si pensi alla dimensione della manualità, elemento distintivo di tali lavori, vincolato dall’obbligo dei guanti) all’organizzazione degli spazi, al contingentamento delle entrate, a una maggiore attenzione per l’igiene e cura dei locali e degli strumenti di lavoro.

Compiti non proprio facili per tante piccole strutture abituate a convivere con le piccole dimensioni. È ipotizzabile anche per tante strutture un prolungamento degli orari di lavoro per garantire l’adeguato contingentamento dei flussi di clientela. Obbligatoria sarà ovviamente la prenotazione degli appuntamenti. 

Colf e pulizie nelle case 

C’è infine un segmento di cui poco si è parlato in questa fase dell’emergenza ed è rappresentato dalle tante operatrici che svolgono servizi di pulizia a domicilio (449 mila, pari al 7,3%). Lavori per lo più sospesi nel corso della crisi, che saranno probabilmente tra primi a riprendere.

In questo caso è facile pensare che, a parte la temporanea sospensione dell’attività, poco cambi all’interno delle mura domestiche, salvo il rispetto di quelle norme minime di sicurezza che ormai contraddistinguono ogni rapporto sociale, anche in famiglia.

Gli altri operatori

A fronte di questi grandi gruppi, vi sono poi molti altri segmenti professionali che vivono un rapporto diretto con il pubblico: dagli specialisti delle scienze della vita (135 mila), ai tecnici della pubblica sicurezza, dei servizi culturali, agli esercenti attività ricettive.

L’uscita dal lockdown imporrà a molte di queste, come visto, un vero e proprio cambiamento della modalità di lavoro. Anche se quasi la metà (45%) arriverà più preparato, dal momento che ha continuato a lavorare anche nella fase emergenziale, non essendo stato interessato dal blocco delle attività. 

Pensare la ripartenza 

Tra le ipotesi di uscita graduale dalla chiusura, si è parlato spesso dell’ipotesi di una tempistica differenziata per genere e target generazionali. Se le donne fossero le prime a ripartire, le professioni “di prossimità” non incontrerebbero criticità particolari.

Queste rappresentano infatti il 62,1% degli occupati nei settori individuati, con punte tra tecnici e personale qualificato del settore sanitario (65,3%), esercenti e addetti alla ristorazione (60,3%), esercenti e addetti alle vendite (61,3%), professioni qualificate nei servizi personali ed estetici (77,4%) e ovviamente tra il personale non qualificato addetto ai servizi domestici (88,5%).

Anche a livello anagrafico, se dovessero essere individuate tempistiche scaglionate, gran parte delle professioni individuate non incontrerebbe specifici problemi. Complessivamente, solo il 19,7% dei lavoratori ha più di 55 anni, ma tra alcuni segmenti professionali, l’anzianità media è più elevata, e ciò potrebbe ritardare la piena ripresa a regime.

È il caso dei medici, tra cui ben il 49,8% degli occupati ha più di 55 anni, ma anche dei tecnici dei servizi di pubblica sicurezza (32,2%), degli esercenti attività ricettive o tecnici dei servizi ricreativi dove più di un occupato su 4 è over 55. 

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Fonte: economia agi