Diritto all’aborto in UE: a che punto siamo


di Iris Landi

In qualunque luogo nel mondo, quando si tratta di prendere decisioni sul proprio corpo, la libertà dovrebbe essere assoluta. Eppure, al giorno d’oggi, sono numerose le persone che vengono perseguitate per questo. Numerosi sono i governi che dettano leggi su chi è possibile amare, come è corretto vestirsi, in che modo identificarsi e quanti figli avere. Costringere qualcuno a condurre una gravidanza indesiderata, o costringerlo a cercare un aborto non sicuro, è una violazione dei diritti umani, oltre che un evidente rischio per quanto riguarda le condizioni di salute fisica e mentale delle donne, compromettendone l’autodeterminazione. A che punto siamo sulla legislazione che regola il diritto all’aborto in UE?
La divergenze legislative in UE
L’abrogazione della sentenza Roe vs Wade negli USA, avvenuta nel giugno del 2022, ha riportato al centro dell’attenzione, specialmente in Europa, il dibattito sull’aborto. In risposta, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che ambisce al riconoscimento, da parte degli Stati membri, del diritto all’aborto come uno dei diritti umani fondamentali secondo la Charter of Fundamental Rights of the European Union. Tuttavia, si è trattato di un gesto puramente simbolico, in quanto richiede il consenso di tutti gli Stati membri, inclusi quelli con politiche restrittive sull’aborto, come Malta e Polonia.

Sebbene il diritto all’aborto sia formalmente riconosciuto in tutti i Paesi membri dell’UE, nella pratica si incontrano numerosi ostacoli. Barriere che non derivano tanto dalle leggi quanto dalle modalità di applicazione di quest’ultime, includendo restrizioni per le donne che cercano di abortire e concedendo la possibilità ai medici e anestesisti di rifiutare di partecipare per obiezione di coscienza, complicando l’accesso a tale diritto. Inoltre, in alcuni casi come di recente in Polonia, si sono verificate tendenze regressive che minacciano i diritti finora acquisiti, seppur non pienamente consolidati.

Partiamo dal contesto storico
Le legislazioni in materia di aborto hanno subito significative trasformazioni nel corso del tempo, spesso come risultato di cambiamenti socio-politici, influenze culturali e l’attivismo dei movimenti per i diritti delle donne e femministi. Le prime norme sull’aborto risalgono al XIX secolo, periodo nel quale la pratica divenne parte integrante del diritto contemporaneo, in particolare grazie al Codice Penale Napoleonico del 1810 che puniva chiunque praticasse o subisse un aborto. Nonostante la presenza di una condanna anche da parte della Chiesa, le successive legislazioni hanno dimostrato approcci diversi, alcuni più permissivi (come nel caso dell’Unione Sovietica e della Germania), mentre altri estremamente più repressivi come in Francia ed in Italia durante il regime fascista, legando il divieto di aborto a politiche razziali ed eugenetiche.

Dagli anni ‘50 in poi, sotto l’influenza del crescente movimento femminista, iniziò ad emergere un cambiamento: una revisione delle politiche sull’aborto che ha spostato l’attenzione dalla salute delle donne al loro diritto di autodeterminazione, evidenziando la necessità di diritti riproduttivi come parte integrante dei diritti umani. Questo periodo di grande mobilitazione ha raggiunto una decriminalizzazione dell’aborto in diversi paesi europei come la Svezia, il Regno Unito e la Francia (tra i primi a liberalizzare le leggi sull’aborto negli anni ’70). Ciononostante, si tratta ancora oggi di un percorso dalla natura fragile e soggetto a sfide significative.

Panorama attuale del diritto all’aborto in UE
Al giorno d’oggi, la panoramica Europea è tutt’altro che rassicurante. Anche in assenza di un esplicito divieto, per le donne che hanno bisogno di abortire la strada è estremamente complessa. Una combinazione di leggi restrittive, costi medici proibitivi e disponibilità sempre minore di medici disposti a praticare un aborto, sta portando le donne che necessitano un’interruzione di gravidanza a vivere un vero e proprio incubo. In Europa, infatti, l’aborto è coperto dall’assicurazione sanitaria solo se deve essere praticato per motivi medici, il che avviene raramente. In molti Paesi, quindi, solo le cliniche private forniscono questo servizio medico, il che significa che le donne devono pagare di tasca propria.

Fino allo scorso Giugno, Malta e il Vaticano si sono distinti come i più severi per quanto riguarda la regolamentazione della pratica, vietando l’aborto senza eccezioni, anche in situazioni di rischio vitale per la madre. In base alla nuova legge approvata nel territorio maltese il 28 giugno, un medico potrà interrompere una gravidanza nei casi in cui la vita della persona sia immediatamente a rischio e comunque solo prima della “vitalità fetale”, ossia la capacità di un feto umano di sopravvivere al di fuori dell’utero. Si tratta di un passo indietro verso alle proposte di decriminalizzazione parziale per motivi di salute, mantenendo l’aborto illegale in tutti gli altri casi.

Nell’ottobre 2020, il tribunale polacco ha inasprito una delle norme più severe dell’UE in materia di aborto, definendo “incostituzionali” gli aborti effettuati a causa di difetti fetali. Di conseguenza, le donne polacche hanno diritto di abortire solo in caso di stupro o incesto, o se la gravidanza mette in pericolo la vita della madre. Lo scorso dicembre la Corte europea per i diritti dell’uomo ha dichiarato l’attuale legislazione in violazione dei diritti della donna. In Germania è obbligatorio un periodo di consulenza e riflessione di tre giorni, un onere che rende una situazione già di per sé difficile, ancora peggiore per le donne. In Ungheria le donne incinte sono costrette ad ascoltare il battito cardiaco del bambino fin dalla prima ecografia.

Cambio di rotta lo ha decisamente dimostrato la Francia quando, il 4 marzo scorso, con 780 voti favorevoli e solo 72 contrari, ha approvato l’inserimento del diritto all’aborto nella Costituzione. “Soprattutto, stiamo inviando un messaggio a tutte le donne: il vostro corpo vi appartiene“, ha dichiarato il primo ministro Gabriel Attal, appellandosi alla speranza che la misura adottata in Francia ispiri anche altri Paesi dell’Unione europea.

La situazione in Italia
In Italia l’interruzione di gravidanza è regolamentata dalla legge 194/78 in vigore dal 1978, ed è concessa entro 90 giorni dal concepimento, ma l’accesso all’aborto è un’altra questione. Nonostante abbia contribuito a ridurre significativamente il numero degli aborti clandestini, garantendo procedure più sicure per le donne, l’effettiva applicazione della legge si scontra con un’elevata percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario. Le autorità regionali responsabili dell’assistenza sanitaria stanno silenziosamente comprimendo l’accesso all’aborto, finanziando e dando spazio alle organizzazioni anti-aborto negli ospedali e nelle cliniche e, in alcuni casi, persino offrendo incentivi in denaro alle donne che abbandonano il progetto di abortire.

Nel 2016, il Consiglio d’Europa ha rilevato come in Italia le donne che cercano di accedere ai servizi di aborto continuano a incontrare notevoli difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi, violandone i diritti. Secondo il Ministero della Salute, infatti, due terzi dei ginecologi si rifiutano di eseguire la procedura per motivi morali o religiosi. Secondo una ricerca condotta nel Giugno 2022, sono infatti 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza, mentre quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%. Tra le regioni più in difficoltà spicca il Molise seguito da Puglia e Marche.

Prospettive future in UE
In un’Europa e un’Italia dove il dibattito sull’aborto continua ad accendersi, emerge con chiarezza la necessità di un cambiamento radicale. L’inclusione del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE rappresenterebbe non solo una vittoria legislativa, ma un simbolo potente di progresso e di rispetto per i diritti delle donne. Si tratta però di una sfida apparentemente improbabile nel breve termine, soprattutto alla luce dell’approssimarsi delle elezioni europee del 2024. Tuttavia, l’attivismo di alcune organizzazioni e l’impegno di europarlamentari per la tutela dei diritti riproduttivi evidenziano un vivace dibattito in corso e la presenza di una volontà di contrastare le iniziative antiabortiste a livello legislativo e culturale.

L’Italia si trova quindi a un bivio critico: continuare su una strada di limitazioni e difficoltà d’accesso, o guidare il cambiamento verso una piena attuazione della legge 194, dimostrando così un impegno concreto per i diritti e la salute delle donne. Il futuro richiede un’azione decisa, un impegno collettivo per assicurare che il diritto all’autodeterminazione non sia solo un ideale, ma una realtà accessibile a tutte. La lotta per l’inclusione dell’aborto nei diritti fondamentali è, dunque, più che mai attuale: un passo necessario verso un’Europa che tutela veramente tutti i suoi cittadini, al fine del raggiungimento della giustizia sociale e di genere.

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