DALLA FINE DEL LAVORO AL LAVORO DEL TEMPO LIBERO


Professore Antonino Gulisano

Il 20 maggio 1970 il Parlamento Italiano ha approvato la legge n. 300 conosciuta meglio come “Lo Statuto dei Lavoratori” Presentata e voluta fermamente dal Ministro socialista Brodolini e dal prof. Gino Giugni. Per il mondo del lavoro e dei lavoratori 50 anni fa fu una pietra miliare per i diritti dei lavoratori e del mondo del lavoro. Dopo questi lunghi anni il sistema economico mondiale e la trasformazione del capitalismo sempre più liberista e finanziario ha fatta perdere potere e contrattazione del lavoro trattato come merce e non come valore di capacità umana.
In questa occasione voglio riproporre un vecchio scritto sul lavoro.
K. Popper in una conversazione su tecnologia e etica diceva: La tecnologia non rende l’uomo povero, ma è l’etica che si applica.
La 4° rivoluzione industriale è che le macchine non si limitano a rimpiazzare gli operai nella fabbrica novecentesca, ma ormai concorre con gli umani nella esecuzione di mansioni sempre più complesse e diversificate.
Fra 10 anni i robot potrebbero favorire la sostituzione dei lavoratoti in quasi la metà nei settori economici. Nessuna paura, la Ocse afferma che il fenomeno non dovrebbe preoccuparci troppo, solo il 9% dei lavori in ciascun settore sarebbe effettivamente automatizzabili.
La pubblica opinione è preoccupata, giustamente, e occorre far qualcosa per cercare di governare il processo. Bill Gates ha avanzata la proposta di introdurre una “robotax”.
Qualcuno l’ha respinta come una retriva manifestazione di “luddismo”. La minaccia della disoccupazione tecnologica è reale e gli attuali meccanismi di mercato non sono in grado di scongiurarli.
Qualche tempo fa ho scritto sulla questione del Finto libero mercato.
Il vero problema è che in un sistema guidato dalle sole forze del mercato lo spostamento in avanti della frontiera scientifica e tecnologica si tramuta pressoché esclusivamente in profitti e rendite.
Questo dibattito nasconde una realtà, il ruolo imprescindibile del Governo dell’economia nel concepire, organizzare e controllare il mercato. Il Governo non esaurisce mai il suo ruolo perché i cambiamenti del mercato sono continui per innovazioni, progressi tecnologici, i quali impongono l’adozione di nuove scelte.
L’esigenza del nostro tempo è quella non di ostacolare le innovazioni che risparmiamo lavoro fisico, ma dobbiamo individuare criteri che consentono di distribuire sull’intera collettività gli enormi benefici di tali cambiamenti tecnici.
Qualcuno propone l’erogazione di un reddito di cittadinanza. Ma non credo che sia la soluzione per il lavoro.
L’ economia moderna si sposta sempre più verso le idee, allontanandosi dai prodotti tangibili, queste regole sono diventate ancora più oscure. La proprietà oggi più preziosa è quella intellettuale (brevetti, accordi pay for – dalay, (di ritardato pagamento) leggi del
copyrighit, brevetti “con durata 90 anni”.
Gli unici fenomeni che si evidenziano sono le redistribuzioni esplicite del Governo dai ricchi ai poveri attraverso le tasse e i trasferimenti. Ma questa è una piccola cosa di pari passo con a divaricazione dei redditi. Questi redistribuzioni verso il basso costituiscono una piccola parte del quadro complesso del rapporto.
In realtà la principale redistribuzione è avvenuta e avviene nella direzione opposta: dai consumatori, dai lavoratori, dalle piccole e medie imprese e piccoli investitori verso l’alto come i top manager, i gestori dei portafogli e i maggiori detentori di capitali fissi, la finanza e i trader di borsa.
Ma esistono anche rimedi più avanzati, ispirati dalle intuizioni di John Maynard Keynes.
Ogni innovazione che accresca la produttività dovrebbe essere accompagnata da una espressa politica di redistribuzione dei frutti del progresso tecnico. Il reinserimento nel processo produttivo dei lavoratori sostituiti dalle automazioni non avverrebbero grazie a improbabili meccanismi di mercato, ma attraverso un piano, fondato su due pilastri: la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario e soprattutto il finanziamento pubblico di quelle attività che il meccanismo capitalistico è lasciato a sé stesso e non è in grado di sviluppare, dalla ricerca scientifica di base, alla creazione di infrastrutture materiali e immateriali, alla cura della persona e del territorio. Il confronto nella economia e società contemporanea avviene tra il reddito e la redistribuzione della ricchezza prodotta. Pongo un quesito: La ricchezza prodotta dalle lavorazioni “robottizzate” a chi appartiene come
plus valore? Al sistema industriale, fatto da azionisti e non da singolo imprenditore, o alla collettività? Sostengo che la plus valenza appartiene alla collettività come redistribuzione della ricchezza prodotta.
Il punto è che al posto di un astratto “libero mercato” c’è una concretissima economia politica sulle regole del gioco. Il problema non sono il potere o l’influenza in sé e per sé di chi comanda, ma piuttosto la relativa mancanza di potere e influenza dall’altra parte. Non ci sono più i contrappesi significativi, cioè forze capaci di controllare e riequilibrare il crescente peso politico della finanza e dei super ricchi. Il ceto medio e i poveri hanno
pochissima capacità di agire di propria volontà.