Concessioni balneari: lo scontro sulle spiagge italiane


di Anna Borghetti

A lungo i governi italiani hanno evitato di indire bandi di gara imparziali e trasparenti per le concessioni balneari, avvantaggiando la lobby dei gestori, contrastando gli orientamenti giurisdizionali italiani e la normativa europea e rischiando persino onerose sanzioni. Ma cosa sono effettivamente le concessioni balneari, come funzionano e qual è l’attuale situazione italiana rispetto ad altri Paesi europei?

Cosa sono i beni del demanio?
L’art. 822 del Codice civile stabilisce che il lido del mare, così come le spiagge, appartengono allo Stato, e pertanto sono parte del demanio pubblico. I beni demaniali, per essere tali, devono essere idonei a soddisfare interessi pubblici, sia della collettività, sia inerenti all’attività statale. I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili, e non possono perciò formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.

Le spiagge marittime sono parte del demanio marittimo, ma tramite lo strumento delle concessioni, la pubblica autorità, compatibilmente con le esigenze dell’uso pubblico, può permettere ai privati l’uso di parti del demanio stesso. Teoricamente, la concessione avviene per mezzo di un bando di gara pubblico, è temporanea, subordinata al pagamento di un canone, ed è soggetta a decadenza per non uso, per mancata costruzione delle opere previste e per altre inosservanze previste dalla legge. Pertanto, il privato può disporre del bene tramite una procedura simile all’affitto, e allo scadere della concessione, si dovrebbe indire un nuovo bando.

Qualche numero per capire la questione spiagge in Italia
Dalla Mappatura delle spiagge italiane realizzata ad inizio 2024, le spiagge italiane coprono 123.765.883 m2, sul cui territorio sono state identificate quasi 6.000 spiagge. Gli stabilimenti balneari privati occupano 5.294.228 m², mentre gli stabilimenti balneari pubblici sono collocati su una superficie di 12.900.070 m². Considerando sia gli stabilimenti privati che quelli pubblici, il sistema di mappatura ha identificato che il 15% delle spiagge totali è coperta da stabilimenti, ma considerando anche le concessioni ad uso turistico ricreativo, la percentuale totale di copertura aumenta fino a circa il 23%.

Il totale di area territoriale richiesta dalla Regioni ammonta a 91.546.387,52 m². I maggiori richiedenti sono: Veneto (23.51% del totale), Emilia-Romagna (15.71% del totale) e Sardegna (10.45% del totale). La Liguria chiede solo il 7.03% del totale del territorio, ma è la Regione che più spende per i canoni demaniali, arrivando a coprire circa il 20% delle entrate a fronte del 6.68% versato dalla Sardegna. Il totale di ingressi in canoni demaniali risulta essere €118.845.830,14. Vale la pena fare un confronto: gli ingressi frutto delle concessioni balneari ammontano, quindi, a circa 100 milioni di euro; diversamente, quelli incassati dal Comune di Milano solo per gli affitti della galleria Vittorio Emanuele II ammontano a circa 60 milioni di euro.
Per capire il valore di tali dati serve citare i prezzi medi applicati dagli stabilimenti balneari: il Codacons evidenzia che nel 2023 i lidi più esclusivi affittavano delle postazioni a prezzi oltre i €1.000 al giorno. Per affittare un ombrellone e due lettini durante il weekend, in uno stabilimento medio, si spendono tra i 30 e i 35 euro al giorno, con significative differenze a seconda della zona: €40 in media a Viareggio o Riccione, €60 in alcune località della Sardegna e €80 a Gallipoli.

Rispetto al 2022 i prezzi medi hanno subito rincari di oltre il 10% con picchi del 25%, considerati dai gestori dei rincari inevitabili. La causa di tali aumenti deriverebbe dalla maggiorazione di circa 25% del prezzo delle concessioni stabilito dal ministero delle Infrastrutture, pur specificando che fino al 2021 i costi delle concessioni erano irrisori e adeguati all’indice dei prezzi stabilito da ISTAT.

Breve storia delle concessioni balneari italiane
Per comprendere come funzionano le concessioni balneari in Italia si deve risalire al 1942 con il Codice di Navigazione, il quale stabiliva che la concessione di un bene demaniale era possibile a colui che avrebbe garantito il perseguimento dell’interesse pubblico. Nel 1992 venne introdotta una clausola – cosiddetta “diritto di insistenza” – che permise al titolare di una concessione di essere preferito tra i possibili pretendenti e che la concessione stessa venisse rinnovata ogni 6 anni in modo automatico, senza effettuare nuovi bandi. Pertanto, a meno che il proprietario di una concessione non vi rinunci di sua spontanea volontà, esiste una vera e propria barriera all’ingresso nel settore balneare.

La Direttiva n. 123 del 2006 – nota come direttiva Bolkestein – relativa ai servizi nel mercato interno intervenne per favorire la concorrenza, il libero commercio e la tutela dei consumatori, stabilendo che gli Stati membri sottoponessero ad aste pubbliche, trasparenti ed imparziali le nuove concessioni e quelle in scadenza. In tal modo, la Direttiva europea e il diritto di insistenza italiano appaiono inevitabilmente in conflitto. La Direttiva Bolkestein prevede che i Paesi membri dell’Ue gestiscano la materia dell’assegnazione di concessioni e della gestione di servizi pubblici ai privati tramite gare pubbliche aperte a ogni operatore europeo, in modo da garantire la libera concorrenza e facilitare la circolazione di servizi all’interno dell’Ue, in vista di una maggiore integrazione del mercato interno europeo.

Nel 2009 il Parlamento italiano, per non incorrere in possibili sanzioni, abroga il rinnovo automatico e la procedura a favore degli attuali proprietari di concessioni, seppur mantenendo invariate le concessioni esistenti fino al 2015. Successivamente, nel 2012 lo stesso Parlamento con una nuova legge proroga le concessioni fino al 2020 e con la Legge di bilancio del 2018 arriva un’ulteriore proroga fino al 2033. Nel frattempo, dal 2009 sono state numerose le procedure di infrazione aperte dalla Commissione nei confronti dell’Italia. Solo con l’intervento del Consiglio di Stato nel 2021 si è rilevata la priorità dell’attuazione della direttiva Bolkestein, fissando il 31 dicembre 2023 come termine ultimo per impedire la proroga delle concessioni.

A settembre 2023 un tavolo tecnico-consultivo richiesto dal governo Meloni in materia di concessioni balneari dichiara che la lunghezza delle coste italiane risulterebbe di 11.172,79 chilometri, cioè ben 2.200 km in più di quanto calcolato dall’Istat, per trovare una scappatoia all’applicazione della direttiva Bolkestein, che si applica solo alle risorse naturali scarse. Per avvalorare la propria tesi, il tavolo aggiunge che solo il 33% delle aree disponibili sono sottoposte a concessione, ma la Commissione rigetta tale ricorso perché sostiene che il calcolo sia stato fatto conteggiando aree non balneabili, inaccessibili, non passibili di concessione e tralasciando di entrare nel dettaglio della zona.

Con il disegno di legge sulla Concorrenza, approvato il 2 gennaio 2024, si sono generate nuove polemiche in materia di concorrenza sulle concessioni demaniali. I territori demaniali torneranno allo Stato, ma con uno slittamento fino al 31 dicembre 2024 nei casi di impedimenti oggettivi allo svolgimento delle gare, e oltre ad una nuova mappatura è stata predisposta anche una variazione dei canoni annuali, che sono stati ribassati.

Come si comportano gli altri Stati?
Tra gli altri Paesi membri dell’Unione europea, i comportamenti in materia di concessioni sono vari e spesso più conformi alla Direttiva imposta dalle istituzioni europee. Uno studio della Camera dei Deputati sulle concessioni demaniali marittime in Croazia, Francia, Grecia, Portogallo e Spagna sottolinea le differenze presenti nella gestione. Portogallo e Spagna sono al momento colpite da una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, mentre gli altri tre Stati procedono all’assegnazione delle concessioni con bandi regolari, trasparenti e rispettosi della concorrenza, seppure con la conservazione in certi casi del diritto di prelazione nei confronti dei titolari delle concessioni originarie.

Un conflitto irrisolto
Finora lo Stato italiano sembra aver favorito i gestori delle spiagge con canoni irrisori, riduzione delle spiagge libere e concessioni rinnovate automaticamente; così facendo la lobby dei gestori ha guadagnato a scapito dell’intera comunità, avvantaggiata da una politica che non ha saputo tutelare il bilancio dello Stato, i consumatori e rispettare le normative europee.

Finora, per non sottostare alla normativa europea si è fatto leva sul fatto che la direttiva Bolkestein si riferisca a “risorse limitate”. Inoltre, le concessioni balneari, pur rientrando nel demanio dello Stato, sono state delegate alle Regioni, che le hanno successivamente delegate ai Comuni, i quali sono i responsabili dei bandi e delle assegnazioni; così facendo è più facile che ciascuno adotti delle proprie regole, gestendo la materia in modo caotico, e che ceda a pressioni o a favoritismi.

In attesa di prossimi sviluppi
Concludendo, il problema principale è certamente il ritardo accumulato dalla politica nella gestione della materia, che ha portato la questione ad essere spinosa, ingarbugliata e a creare una classe di gestori invadente e potente, che scoraggia la politica dal prendere delle decisioni anche impopolari per l’elettorato. Una presa di posizione appare necessaria, soprattutto alla luce del fatto che l’Italia ha perso 40.000.000 m² di spiagge a causa dell’erosione costiera, perciò tale tema tocca tanto l’economia, quanto la concorrenza – sulla quale l’Italia appare ancora in ritardo – quanto la sostenibilità ambientale

Una soluzione ipotizzata da alcuni gestori sarebbe quella di liberalizzare le concessioni, pur potendo favorire chi ha esperienza nella gestione di tale attività imprenditoriale e coloro che possano dimostrare di aver regolarmente pagato le concessioni e di aver realizzato investimenti virtuosi nella gestione. Al momento, la premier Meloni ha promesso una “norma di riordino che consenta di mettere ordine alla giungla di interventi e pronunciamenti che si sono susseguiti”, mentre i gestori degli stabilimenti balneari si sono detti costretti alla mobilitazione, unitamente ai sindaci dei Comuni rivieraschi, per sollecitare le istituzioni a legiferare al più presto in materia.