Ciad: oggi al voto, test per l’ultima pedina francese


In un clima di tensione e incertezza, domani il Ciad eleggera’ il suo presidente. Un appuntamento con le urne cruciale per la Francia e l’Occidente in generale, di cui N’Djamena rappresenta l’ultima pedina nella regione del Sahel ormai sotto l’influenza di regimi militari e della Russia.
Sono dieci i candidati in lizza, tra cui il presidente di transizione, il generale Mahamat Idriss De’by, e il suo primo ministro, Succe’s Masra. Un confronto al centro dell’attenzione della comunita’ internazionale, ma con un problema non da poco a soli tre giorni dal voto: molti ciadiani non sono iscritti nelle liste elettorali. Dopo tre decenni di governo del presidente Idriss De’by Itno – da sempre sostenuto da Parigi – ucciso in combattimento nel 2021, suo figlio portato da un gruppo di generali lo ha sostituito a capo del Paese.
Lunedi’ il presidente di transizione, candidato del Movimento Patriottico di Salvezza (Mps) – fondato dal padre defunto – tentera’ di legittimare il potere acquisito in modo incostituzionale, ma l’esito delle urne e’ incerto, in un clima regionale di vento antifrancese e anticolonialista, per affermare invece la propria sovranita’ nazionale. In questo contesto la trasparenza delle presidenziali e’ gia’ stata messa in discussione dal suo principale rivale e primo ministro, Succe’s Masra, il quale ritiene che “il posto dell’esercito francese sia in Francia”. Una retorica che e’ la stessa di quella portata avanti da qualche anno da oppositori e militari autori di golpe nei vicini Mali, Niger e Burkina Faso. A maggior ragione da quando i soldati di Parigi sono stati successivamente cacciati dal Bamako, Ouagadougou e Niamey la Francia intende mantenere saldamente la sua presenza militare in Ciad, anche se nel contempo proclama il desiderio andare oltre la sua esclusiva cooperazione in materia di sicurezza.
“Dobbiamo restare, e naturalmente lo faremo”, ha dichiarato Jean-Marie Bockel, “inviato personale” del presidente Emmanuel Macron, lo scorso 7 marzo dopo un incontro con il presidente di transizione Mahamat Idriss De’by. Un’eventuale rottura tra Parigi e N’Djamena e’ difficile da prevedere, in buona parte perche’ le relazioni militari franco-ciadiane hanno una lunga storia di co-dipendenza.
Il Paese africano e i suoi “guerrieri del deserto” occupano un posto speciale nell’immaginario dell’esercito francese, presente in questo territorio quasi ininterrottamente per oltre un secolo. Prima colonia ad aderire alla Francia Libera il 26 agosto 1940, il Ciad e’ rimasto in parte amministrato dall’esercito francese fino al 1965, cinque anni dopo l’indipendenza del Paese. Da allora, la “portaerei del deserto” – come e’ stato soprannominato per la sua posizione strategica che permetteva a Parigi di proiettare le sue truppe nella regione – detiene il record del maggior numero di operazioni esterne francesi.
Dall’Operazione Limousin (1969-1971), per proteggere il presidente Francois Tombalbaye dalle fazioni ribelli del Sudan, all’Operazione Sparviero (1986-2014) contro l’invasione delle truppe libiche di Muammar Gheddafi, l’esercito francese ha successivamente portato al potere Hisse’ne Habre’ nel 1982, condannato nel 2016 all’ergastolo per i crimini contro l’umanita’ commessi durante la sua presidenza, fino al 1990. Ha poi accompagnato il rovesciamento di Habre’ da parte di Idriss De’by otto anni dopo e ha bombardato le colonne ribelli che minacciavano il potere di De’by nel 2019.
Da parte sua, il Ciad ha inviato le sue truppe in prima linea quando la Francia e’ stata coinvolta nel Sahel contro i jihadisti, nel 2013. Un migliaio di soldati francesi sono ancora di stanza nella base aerea di N’Djamena, da cui decollano ogni giorno i caccia Mirage che forniscono al regime preziose informazioni sui movimenti dei ribelli ai confini. Ma la giustificazione al mantenimento del centro operativo delle forze francesi nel Sahel a N’Djamena, che e’ subentrato a “Barkhane”, e’ discutibile, soprattutto perche’ la capitale ciadiana dista diverse migliaia di chilometri dal teatro delle operazioni contro i gruppi jihadisti nel centro del Sahel, diventato inaccessibile ai soldati francesi. Il Ciad non e’ piu’ una base di proiezione, ma rimane una questione centrale in una regione scossa da crisi, colpi di Stato e dalla crescente influenza della Russia, che sta dispiegando i suoi paramilitari in quattro Paesi vicini: Libia, Sudan, Repubblica Centrafricana e Niger.
Proprio oggi a Niamey, capitale del Niger, i soldati russi sono stati schierati nella base aerea 101, che ospita anche truppe americane, dopo che la giunta militare al potere ha deciso di porre fine a un accordo di cooperazione militare con Washington ed espellere le forze statunitensi.
“Percepita come l’ultima pedina del campo filo-occidentale nel Sahel, N’Djamena sa come sfruttare la sua posizione di cittadella assediata. I membri dell’apparato di sicurezza ciadiano non esitano a evocare lo spettro della Russia per spaventare l’Occidente e indurlo a fare concessioni, con grande disappunto della societa’ civile e dell’opposizione, diversificando al contempo i suoi partenariati di sicurezza in direzione di Emirati Arabi Uniti, Turchia, Ungheria”, analizza il quotidiano francese Le Monde. In questo clima, sta crescendo il risentimento di molti ciadiani assettati di cambiamento e per i quali ormai la Francia sembra essere soltanto un ostacolo. A N’Djamena nessuno ha dimenticato il discorso del presidente Macron, l’unico capo di Stato occidentale ad aver partecipato ai funerali di Idriss De’by il 23 aprile 2021. “La Francia non permettera’ mai che la stabilita’ e l’integrita’ del Ciad siano messe in discussione”, dichiaro’ allora il titolare dell’Eliseo, mentre le truppe ribelli avanzavano verso la capitale ciadiana. Questo episodio e’ stato interpretato da molti cittadini come l’approvazione da parte di Parigi di una successione dinastica al potere. Tre anni dopo, e nonostante le promesse fatte, nulla sembra essere cambiato quando Bockel ha prclamato la sua “ammirazione” per la transizione, solo una settimana dopo che il principale esponente dell’opposizione, Yaya Dillo, era stato ucciso – a fine febbraio scorso – dall’esercito in un assalto alla sede del suo partito, a meno di tre mesi dalle elezioni presidenziali. Da allora si sta allargando inesorabilmente il divario tra una gioventu’ assetata di cambiamento e l’ex colonia che non riesce ad abbandonare una cooperazione basata esclusivamente sulla sicurezza. Che sia vera o falsa, rimane profondamente radicata nella mente della gente l’opinione secondo cui il candidato vincente sara’ quello scelto da Parigi e che, nel dare sostegno al potere, la Francia condivida la responsabilita’ della cattiva gestione del Ciad. Nel contempo pero’, secondo diversi analisti, e’ possibile che le autorita’ ciadiane stiano mobilitando l’opinione pubblica ostile alla presenza militare francese per cercare di guadagnarsi punti in vista delle presidenziali. Come per evitare di essere chiamati in causa in una sequenza politica sempre piu’ tesa, il 25 aprile gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro temporaneo di alcune delle loro truppe presenti in Ciad, a seguito di un disaccordo con lo Stato Maggiore dell’Aeronautica.
La Francia, che proclama ripetutamente la sua volonta’ di ridurre la propria presenza militare in Africa e di reinventare il rapporto con le sue ex colonie, in Ciad sembra fare l’esatto contrario. (AGI)