Beatrice di Pian degli Ontani


 

Di Gian Paolo Borghi

Cornio-Melo di Cutigliano (Pistoia) 1803 – Pian degli Ontani di Cutigliano 1885

Beatrice di Pian degli Ontani, al secolo Beatrice Bugelli, è la più nota poeta improvvisatrice dell’appennino tosco-emiliano tra Otto e Novecento. Analfabeta ma dotata di un’innata indole poetica e di un’altrettanto rilevante vena creativa, trascorre la sua esistenza tra due piccoli villaggi della montagna pistoiese, il Cornio e Pian degli Ontani.

Dopo la morte della madre, accompagna ancora giovanissima il padre nei suoi lavori in Maremma. Si sposa a vent’anni con Matteo Bernardi, molto più anziano di lei, e proprio il giorno del matrimonio, assistendo al contrasto tra due improvvisatori, si lancia per la prima volta nella disputa poetica scatenando l’entusiasmo tra i convenuti. Da allora sarà costantemente invitata a esibirsi in feste e in cerimonie locali dove riscuoterà grandi successi tra la sua gente.

In pochi anni raggiunge una grande notorietà, grazie a numerosi incontri con studiosi, letterati, estimatori di poesia e curiosi che vanno a farle visita e che in seguito la invitano a improvvisare versi in prestigiosi salotti letterari, aristocratici e mondani a Firenze, Pistoia e Bologna e in tante altre località minori.

Nel 1832 incontra Niccolò Tommaseo, in viaggio letterario in Toscana, che scrive di lei:

Feci venire di Pian degli Ontani una Beatrice, moglie d’un pastore, donna di circa trent’anni, che non sa leggere e che improvvisa ottave con facilità, senza sgarar verso quasi mai: con un volger d’occhi ispirato, quale non l’aveva Madama de Sade; lo giurerei per le tre canzoni degli Occhi. […] Né Francesco da Barberino vanta fra’ suoi molti versi che valgano questi:

E gran sollazzo ci verremo a dare
Che di scrittura non posso imparare
La montagna l’è stata a noi maestra
La natura ci venne a nutricare
E ’l sole se ne va via là pian piano;
Ch’io ne debbo partir da Cutigliano.

Nel contrasto di chi le risponda, la Beatrice s’infiamma e resiste ore intere a cantare sempre ripigliando la rima de’ due ultimi versi cantati dal suo compagno. Donna sempre mirabile; meno però quando si pensa che il verseggiare è quasi istinto ne’ tagliatori e ne’ carbonai di que’ monti.

Nella sua modesta casa nella Valle del fiume Sestaione vanno a fare la sua conoscenza, tra gli altri, lo studioso di “poesia popolare” e poeta Giuseppe Tigri, i letterati Massimo d’Azeglio e Giuseppe Giusti, il linguista Giambattista Giuliani. Quest’ultimo, nelle sue Lettere al Tommaseo, riporta una suggestiva testimonianza autobiografica di Beatrice, nella quale si legge:

Il mio babbo lo chiamavan Gioacchino. Di casato Bugelli. D’origine noi siamo del Conio, luogacciolo che fa una sola Pieve col Melo: sarà cento fuochi in tutto; è a due miglia da Cutigliano, poco sopra dove il rio Arsiccio s’invarca nella Lima. Presi marito di vent’anni e quattro mesi; avevo ventidu’ anni che Dio mi diede il primo figliolo. Felice come me non c’era altre; la più gran disgrazia la dovetti subire quando mi son veduta morire quel figliolo: morì il giorno della Candelora, sarà diec’anni. Non mi pare d’aver più a morire come quel giorno […]. La prima ottava la diedi al marito nel giorno di sposarlo. Da ragazza cantavo de’ strambotti e rispetti, andando a far l’erba, raccattando le spighe, ma non sapevo fare da me: non c’ebbi mai pensato. […] Io ebbi otto de’ figlioli, n’allevai dieci. Mi restava ’na cognata in casa, che non finiva di darmi noia: non si poteva più vivere insieme a buono. Si rodeva il cuore, perché io cantassi e la gente mi vedeva bene. […] Dovetti andare per balia due volte, dappertutto mi facevano cantare: vivevo in gran contentezza: chi si contenta gode. Il canto è stata ognora la mia fortuna.

Beatrice continua a pascolare le pecore anche dopo il matrimonio e, “per ben due volte – ci informa Carla Schubert – stando alla macchia […] le toccò di mettere alla luce un figliuolo senza i conforti necessari”. La stessa Schubert riporta un’ottava che Beatrice improvvisa nel 1863 quando, a causa dello straripamento della Lima e del Sestaione, oltre che rischiare la vita, perde irreparabilmente la sua casa:

E quando la mia casa venne a rovinare,
Mi scaturiva il sangue d’ogni vena;
‘Na creatura aveva a nutricare.
Mancò la forza a me, mancò la lena:
e non aveo i piè per camminare;
La poesia allor perse la vena.
Nel momento di quel terribil danno
Io mi restai sommersa in grand’affanno.

Una straordinaria figura di gentildonna inglese innamorata della Toscana, Francesca Alexander, è in costante rapporto con la poeta pastora. Una sua biografia di Beatrice, pubblicata in Inghilterra nel 1885, conosce un’edizione italiana, e in estratto, soltanto nel 1976. Da quest’ultima riportiamo alcuni brevi frammenti che “ritraggono” Beatrice:

Dei suoi otto figli (di cui cinque ancora in vita), due erano poeti. […] Il povero Beppe, il maggiore, […] aveva ereditato gli speciali talenti di sua mamma ed era un improvvisatore; quando contrastavano insieme quelli che hanno avuto la fortuna di ascoltarli dicono che era una cosa indimenticabile. […] Beatrice era solita portare l’abito alla vecchia maniera contadina nel quale l’ho ritratta: corsetto scarlatto, fazzoletto celeste, collana a grani e orecchini d’oro, le lunghe maniche di lino erano increspate al polso; quando lavorava soleva spingerla sopra i gomiti […]. Nelle grandi occasioni metteva un velo bianco ricamato, fazzoletto e grembiale, tutte cose che aveva indosso il giorno che si sposò. Nessuna immagine può dare un’idea della bellezza, perché è impossibile raffigurare la luce nei suoi occhi che sembrava venire di dentro e non di fuori.

Riportiamo due ottave improvvisate da Beatrice, a suo tempo annotate dall’appassionato commerciante-collezionista pratese Filippo Rossi-Cassigoli e pubblicate da Carla Schubert:

Se tu sapessi la vita ch’io faccio,
Non la farebbe il Turco alla catena.
E ’l Turco porta la catena al braccio
E io la porto al cor per maggior pena.
E ’l Turco porta la catena al collo,
E io la porto al cor, ch’è maggior doglio.
E ’l Turco porta la catena al piede,
E io la porto al cor che niun la vede.

Quella finestra, fatta a colonnello,
Quanto sospiri m’ha fatto gettare!
Tu m’hai ferito il cor con un coltello,
Non trovo chi mi voglia medicare.
E ’l medico m’ha messo a tal partito,
Che m’abbia a medicar chi m’ha ferito.
E ’l medico m’ha messo a un partito tale
Chi m’ha ferito m’abbia a medicare.

Beatrice conclude la sua lunga vita, dura e laboriosa, il 25 maggio 1885. Da diversi anni a Pian degli Ontani è stato istituito un Centro Studi alla sua memoria. Recentemente, nella stessa località, le è stato intitolato il parco culturale Le parole delle tradizioni dove, su appositi massi levigati, sono stati incisi suoi versi.

 

Fonte: Enciclopedia delle donne